Opinioni

Denunciare il Male ma senza affascinare. Il caso del bambino «vestito» da camorrista

Maurizio Patriciello martedì 6 febbraio 2018

«Genny Savastà, a Napoli commannamm io e te e sparamm mocc» , Genny Savastano, a Napoli comandiamo io e te e gli spariamo in bocca. A pronunciare questa orribile, inaudita, spaventosa frase è un tenerissimo bambino di sei sette anni travestito da camorrista con un mitra in mano. Genny Savastano è il protagonista della serie televisiva Gomorra. Il video sta facendo il giro del web. È proprio brutto, violento, di cattivo gusto.

Un pugno nell’occhio. Il volto del bambino, non oscurato, è dato in pasto a tutti. Povera, innocente, creatura, che squallido servizio gli adulti gli hanno reso. Nonostante la legge che tutela i minori, di fatto questo bimbo non è stato per niente tutelato. Sotto accusa, per tanti, finisce la fiction 'Gomorra'; per altri, invece, la colpa cade tutta sui genitori. Denunciare il male e le malefatte, i prepotenti e i camorristi è sempre un bene. Il terreno di coltura sul quale prosperano la mafia, la camorra, la ’ndrangheta è il silenzio. Ne hanno bisogno più dell’aria. Silenzio che può essere omertoso, di convenienza, di ignoranza, di paura. Per i mafiosi meno si parla meglio è. Loro non amano gli schiamazzi, le strade insanguinate, i riflettori puntati.

A loro interessa solo condurre in porto gli affari, estorcere denaro, intimidire, controllare il territorio. Ammazzano, è vero, ma solo se costretti, quando qualche ' sognatore' mette a rischio il 'sistema' che li tiene in vita, quando temono di perdere autorità. Ingordi, prigionieri di una frenesia diabolica, accumulano denaro, case, terreni. Non si accontentano mai. Vogliono tutto, desiderano tutto, tengono sotto controllo tutto. Giornalisti e scrittori sono da essi ritenuti nemici, così come chi ha osato sfidare le loro leggi, le loro regole, i loro comandi. Chi ha avuto il coraggio di dire 'no', fosse anche a qualcosa di irrilevante, mina la loro quiete, fa scricchiolare il trono di peccati e di immondizie sul quale sono seduti. Il ribelle è visto come un virus che può infettare beneficamente gli altri. Deve essere, perciò isolato, punito, impaurito.

Chiunque sia, in qualsiasi modo, a qualunque prezzo. Mettere a tacere un uomo non è poi così difficile. Basta un colpo di pistola, o, a volte, una semplice calunnia. Si mette in moto la macchina del fango, si getta discredito sui giusti, si inquinano le prove. La verità non viene a galla facilmente. Per farla trionfare a volte occorrono anni. Scrivere di camorra e mafia, quindi, è un bene. Sempre. A chi rischia la vita per portare alla ribalta le angherie e la vigliaccheria dei clan, il coraggio e le sofferenze dei testimoni di giustizia, l’angoscia e le paure di è costretto a convivere con queste realtà malefiche, va il ringraziamento e la gratitudine di tutte le persone di buona volontà.

Anche la televisione, naturalmente, deve fare la sua parte. Portare sugli schermi questa triste realtà che, da decenni, non riusciamo a scrollarci di dosso, è un dovere. La gente deve sapere, gli oppressi devono essere liberati, i mafiosi debbono scomparire dalla faccia della terra. Occorrono professionisti seri, bravi, onesti, capaci di veicolare un doppio messaggio: di denuncia e di speranza. Per quanto possa farci inorridire, dobbiamo ricordare che il male riesce anche ad affascinare. Un mistero, questo, che nessuno è in grado di spiegare. Ogni parola, ogni gesto, ogni ripresa perciò, devono essere meditate, pensate, pesate. La curiosità morbosa che in tutti fa capolino non deve essere alimentata. Indugiare nel raccontare certi particolari scabrosi non è un bene. La sola notizia di una minorenne stuprata deve bastare a farci inorridire, entrare nei particolari non aggiunge niente allo scempio perpetuato ma, al contrario, potrebbe scatenare in alcuni un processo di emulazione. I libri si scelgono, si comprano, si studiano, la televisione, invece, arriva in casa, in tutte le case, a tutte le ore.

Raggiunge adulti e adolescenti, colti e ignoranti, personalità formate e altre fragili, instabili, influenzabili. Per l’antica legge dell’eterogenesi dei fini, potrebbe accadere, e di fatto accade, di ottenere il risultato opposto a quello desiderato. È il momento quello in cui bisogna avere il coraggio e l’umiltà di smetterla, o, almeno, di correre ai ripari, rivedendo e correggendo il copione. L’orribile video del graziosissimo bambino napoletano che inneggia a 'Savastano', se ce ne fosse ancora bisogno, da solo basterebbe a dimostrare che il momento di cambiare rotta è giunto.