Opinioni

Lettere. Dal buio di una necropoli cristiana una luce di speranza per il Rione Sanità

Marina Corradi martedì 14 novembre 2017

Caro Avvenire,
Napoli, 12 novembre, ore 9,30: iniziamo una camminata nel Rione Sanità e nelle Catacombe di San Gennaro. Siamo in 22 amici, accompagnati da una ottima guida; un ragazzo motivato e preparatissimo, si chiama Antonio, fa parte della Cooperativa sociale fondata da don Antonio Loffredo, parroco al Rione Sanità. Questo turismo è il nuovo volto del-l’Italia che vuole cambiare, che con passione e tenacia innova civilmente mestieri antichi, come quello dell’accompagnatore turistico; che promuove la bellezza del sapere e del divulgare, con grande senso civico. Grazie anche alla Etsi Cisl, che ha organizzato questa bella gita per noi.

Enrico Reverberi

Si entra da un anonimo cancello sotto la Basilica di Capodimonte. Le catacombe di San Gennaro ti si allargano di colpo davanti in un largo atrio oscuro, da cui si dipartono ambulacri bui e profondi, che sembra portino a un infinito altrove. II secolo dopo Cristo, nel tufo in cui sono state scavate sono rimaste migliaia di tombe cristiane, una città dei morti che ammutolisce nella soggezione e nella pietà il visitatore, nella sua ombra millenaria. Poi, attorno al V secolo, qui furono portati i resti del vescovo Gennaro, canonizzato molti secoli dopo, ma, per i suoi, “santo subito”. Da allora le catacombe divennero luogo di pellegrinaggio, e migliaia di cubicoli furono scavati per accogliere i cristiani defunti, fino a costruire una vera necropoli ipogea. Nell’VIII secolo poi, ai tempi del furore iconoclasta, il vescovo Paolo II per sfuggire alla persecuzione si rifugiò qui: un battistero in pietra testimonia che, qui sotto, nel buio, si battezzava. Ovattato, il rombo degli aerei che atterrano a Capodichino arriva, come l’eco di un altro evo, fin dentro la oscurità. Ma, pensi procedendo adagio, quasi cercando di non far rumore, in quanti hanno voluto dormire quaggiù, vicini al loro santo? Fino a quando il suo corpo, conteso, non fu trafugato da qui – e ora riposa nella cattedrale. I visitatori avanzano silenziosi in quest’Ade, fino a quando riemergono al sole radioso di Napoli, nei cortili dell’ospedale San Gennaro, alla Sanità. Le Catacombe, rimaste sbarrate e inaccessibili per molti anni, sono state riaperte al pubblico grazie all’opera di un sacerdote, don Antonio Loffredo, parroco della Basilica di Santa Maria della Sanità, che per dare lavoro ai ragazzi del quartiere ha creato una cooperativa sociale, “Con il Sud” – accanto a corsi di teatro, di musica, e a una miriade di altre iniziative. Il ragazzo che ha fatto da guida al lettore e ai suoi amici fa parte della cooperativa: ha studiato per poter spiegare ai visitatori la storia di questa nascosta bellezza di Napoli. Quanti gioielli come questi, sottoutilizzati, ci sono in Italia, ti chiedi, e quanti ragazzi potrebbero essere istruiti per mostrarli ai visitatori? Un esempio di Sud vivo e pieno di speranza, pure nella fatica e nella povertà di uno dei quartieri più difficili di Napoli, di cui spesso i giornali parlano solo per sparatorie e adolescenti ammazzati. Eppure quando guardi al Rione Sanità con la memoria della necropoli cristiana che sta qui sotto, poco lontano, e pensi ai defunti che si affollarono attorno a un santo, come bambini nel buio, osservi questi vicoli con altri occhi. Con memoria e speranza. E ringrazi Dio di un prete, e di altri come lui, ignoti a tanti di noi, ma appassionati alla loro gente, e ai loro figli. Come don Antonio, che si inventa il lavoro che non c’è, per loro. (Uno che chiama i ragazzini in queste strade, tutti, e anche i figli dei camorristi, «i miei bambini»).