Opinioni

Ambiente. Da videochiamate e realtà virtuali un impatto elevato sull'ambiente

Gianluca Schinaia giovedì 26 gennaio 2023

L’universo digitale può avere un impatto ambientale superiore elevato

Web, metaversi, streaming: se tutto l’universo digitale fosse una nazione sarebbe al terzo posto per emissioni di CO2, dopo Cina e Usa La sfida di rendere la tecnologia sostenibile Sulla Terra, ogni proiezione di un angolo di paradiso ha un prezzo. Ciascuna rappresentazione digitale fatta per intrattenerci, emozionarci o perfino farci felici consuma energia, e quindi emette CO2. Se tutto l’universo digitale fosse un paese sarebbe il terzo a più alte emissioni dopo Cina e Stati Uniti: insomma, come quanto fa oggi l'India. Dal like in un post a una videochiamata, da un file archiviato all’invio di una mail: è l’insostenibile leggerezza del cloud (in inglese, nuvola), quel mondo virtuale che sembra tanto lieve ma è fatto di cavi sotterranei pesanti, di enormi megastrutture che custodiscono migliaia di server, di oggetti fisici con transistor microscopici che richiedono materiali rari da estrarre nelle miniere.

Perché le attività in rete possono diventare un problema ecologico

Oggi il settore dell’Information and Communications Technology consuma il 10% dell'elettricità mondiale, ma la domanda specifica dovrebbe duplicare entro il 2025: raddoppiando di riflesso la produzione di CO2. E le sirene “green” del Metaverso, che nelle parole di Mark Zuckerberg annunciano il taglio delle emissioni di anidride carbonica del mondo virtuale grazie alle potenzialità di questa ennesima rivoluzione digitale, sono quel che sembrano: una promessa illusoria, che cerca di ammaliarci per poterci attrarre in questo nuovo mondo. Pur rimanendo, appunto, solo sirene.

Alcuni analisti temono invece che il Metaverso possa portare a un aumento delle emissioni di gas serra. Tanto per dare un’idea, uno studio recente stima che l'addestramento di un solo modello di intelligenza artificiale utile in questo nuovo spazio virtuale potrebbe generare 284 tonnellate di anidride carbonica, ovvero più di cinque volte la quantità di gas serra emessi da un'automobile nel corso della sua vita. L’ennesima rivoluzione del nostro tempo avrà bisogno di immagini ad alta risoluzione, di tecnologia cloud gaming necessaria per la realtà virtuale, di centri dati e servizi in remoto: tutte azioni che necessitano di una grande quantità di energia. Pensiamo solo ai videogames in streaming, con cui già oggi ragazzi di ogni nazione giocano insieme. La differenza tra quelli tradizionali e i nuovi arrivati pronti per il Metaverso è che questi ultimi si stima faranno impennare i consumi di elettricità dei dispositivi. Tanto per dare un’idea, una ricerca della Lancaster University ha rilevato che se il 30% dei giocatori passerà a piattaforme di gioco cloud entro il 2030, ci sarà un aumento del 30% delle emissioni di carbonio di questo comparto.

La verità è che il mondo digitale, nonostante le sue promesse e le sue sembianze, non ha nulla di sostenibile: la Rete è un'insaziabile sfruttatrice di energia elettrica e i computer si dimostrano i sostenitori più accaniti degli idrocarburi, dato che le fonti fossili sono la principale forma di alimentazione energetica di questi strumenti. Il giornalista francese Guillaume Pitron ha raccontato queste evidenze in un saggio recente intitolato “Inferno digitale”, dove ha pesato e misurato l’impatto dell’universo digitale in termini ambientali. Si scopre così che ogni sessanta secondi si connettono a Facebook 1,3 milioni di persone, si registrano 4,1 milioni di ricerche su Google, sono visualizzati 4,7 milioni di video e si spendono 4,7 milioni di dollari sui siti di e-commerce. Tutto questo in un solo minuto. E tutte queste azioni richiedono energia elettrica. Il solo sistema del Bitcoin, re delle criptovalute, consuma la stessa energia dell'intera Danimarca. Come osservato per il Metaverso, più aumentano le potenzialità della Rete e dei suoi prodotti, più cresce la domanda di energia. Ad esempio, il peso di una pagina web si è moltiplicato di 115 volte tra il 1995 e il 2015, e la potenza richiesta per scrivere un testo raddoppia ogni due o tre anni. Questo incedere incessante ha un prezzo altissimo in termini di impatto ambientale. Basti pensare che sempre secondo Pitron «se solo 70 milioni di internauti abbassassero la qualità di riproduzione dei video che guardano si potrebbero evitare 3,5 milioni di tonnellate di CO2 ogni mese nell’atmosfera, ossia l’equivalente delle emissioni generate dal 6% della produzione di carbone negli Stati Uniti».

Una ricerca della Lancaster University ha rilevato che se il 30% dei giocatori passerà a piattaforme di gioco “cloud” entro il 2030, le emissioni di carbonio del comparto aumenteranno del 30%. Il solo sistema del Bitcoin consuma la stessa energia della Danimarca

L’impatto ambientale della rivoluzione digitale non è solo misurabile in termini di anidride carbonica, ma anche come produzione fisica e pesante di materiali e strumenti che ci servono per accedere alla Rete. Esistono oggi 34 miliardi di apparecchi digitali in circolazione, che pesano complessivamente circa 223 milioni di tonnellate: come 179 milioni di auto berline. Non si tratta di prodotti fatti per durare, ma segnati dal peccato originale dell’obsolescenza programmata: la vita di un computer è passata in tre decenni da undici a quattro anni. Per costringerci a spendere di più, questi device non si possono aggiornare e finiscono così in discarica. Addirittura, secondo i dati di Pitron, la contaminazione dei terreni con la componentistica dei rifiuti elettronici sepolti, come pc, smartphone, tablet e tutto ciò che ci permette di accedere alla Rete, sta alterando la composizione geologica della crosta terrestre.

Questi effetti riguardano solo la partenza di un impulso elettronico quando schiacciamo un tasto, non ancora come invece si muove. Internet non viaggia per via di un segnale invisibile mandato nell’etere ma attraverso una enorme rete anfibia, visto che quasi il 99% del traffico mondiale di dati transita oggi non nei cieli ma lungo cavi sotterranei e sottomarini. Come afferma Elizabeth Bruton, curatrice dello Science Museum di Londra: «La gente crede di vivere in un mondo “senza fili”, ma in fin dei conti oggi siamo collegati gli uni agli altri da fili come mai lo siamo stati prima!» Una connessione virtuale fittissima che paradossalmente sembra allontanarci da una visione di insieme, per rinchiuderci in un individualismo cresciuto dagli algoritmi basati sulla personalizzazione di ogni nostra scelta. Ad esempio, più ci incontriamo online e meno lo facciamo in presenza: è vero che a livello ambientale questo abbatte le emissioni di CO2 (considerando solo gli spostamenti necessari per raggiungere un luogo preciso), ma a volte abusiamo di questi strumenti.

La qualità di un meeting dal vivo, con uno scambio di opinioni completo e trasparente, è soppiantata dalla quantità di call – spesso inutili – che consumano energia e impattano sull’ambiente. Lasciandoci più soli

La qualità di un meeting dal vivo, con uno scambio di opinioni più completo e trasparente, è soppiantata dalla quantità di call – spesso inutili e lunghissime – che alla fine consumano energia e impattano a livello ambientale. Lasciandoci però più soli: il confronto virtuale non ci espone né ci arricchisce quanto quello fisico. Una dissociazione crescente, figlia del nostro tempo, alimentata da pixel, app e notifiche. Sull’analisi di questa involuzione si fonda uno dei principi della Laudato si’, l’ecologia sociale, laddove il concetto di ambiente «fa riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita». E «questo – scrive papa Francesco – ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati». Attraverso questa concezione sarebbe facile comprendere un fatto: il digitale duplica le nostre esperienze e raddoppiandole è inevitabile che crei più rifiuti, scarti, inquinamento.

Non si tratta di demonizzare uno strumento della modernità, ma di imparare ad usarlo affinché diventi sostenibile. Pitron si augura che arrivi «un giorno in cui ridurremo il nostro uso di Internet non perché le reti non ci consentiranno di ampliarlo, ma perché la preservazione della specie, dell’ambiente e di certi valori lo richiederà». Quel giorno è già arrivato se le prossime frontiere dell’universo digitale minacciano di schiudere un mondo peggiore in cui vivere. Si tratta di governare il futuro per trasformarlo, nuovamente, in progresso.