Opinioni

La nuova bozza del Piano pandemico. Curare sempre con coscienza

Roberto Colombo venerdì 29 gennaio 2021

La nuova bozza del "Piano pandemico 2021-23", aggiornata al 18 gennaio, è giunta sul tavolo della Conferenza delle Regioni. Tra le modifiche apportate, spicca quella nel passaggio relativo alla cura dei pazienti affetti da malattie infettive epidemiche a elevata prevalenza in caso di scarsità di risorse sanitarie (dispositivi clinici, letti di degenza in strutture di ricovero e cura e unità di terapia a media e alta intensità di cura, personale medico, infermieristico e socio-sanitario). Al posto del discusso criterio di «allocare [le] risorse scarse in modo da fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiori probabilità di trarne beneficio», si afferma che il medico, «agendo in scienza e coscienza, valuta caso per caso il bisogno clinico dei pazienti secondo i criteri clinici di urgenza, gravosità e efficacia terapeutica, nel rispetto degli standard dell’etica e della deontologia professionale». E si sottolinea che «gli interventi [da effettuare] si basano sulle evidenze scientifiche e sono proporzionati alle condizioni cliniche dei pazienti, dei quali è tutelata la dignità e riconosciuta l’autonomia». La nuova formulazione è significativa e decisiva: si passa dal criterio probabilistico, basato prevalentemente sulla statistica clinica, cui viene attribuito un valore predittivo generale rispetto alla prognosi (quoad vitam e/o quoad valetudinem), a quello della proporzionalità, che prende in considerazione prima di tutto l’appropriatezza dell’atto medico in rapporto alla condizione clinica attuale e individuale (secundum proportionem aegroti status).

Quando la medicina si prende cura del malato assumendo la prospettiva che ciascun paziente è una persona unica e irripetibile (la cosiddetta 'medicina personalizzata', di cui sempre più spesso si parla e si scrive), il valore - scientificamente irrinunciabile e clinicamente utile – della inferenza statistica non può esaurire l’intero spazio della decisione clinica. Così facendo, si ridurrebbe infatti il soggetto malato a un 'caso' indistinto nell’insieme di coloro che sono affetti dalla medesima malattia e presentano parametri fisiopatologici simili, per il trattamento dei quali è dirimente la probabilità del suo successo, desunta semplicemente dalla 'casistica' secondo un approccio biostatistico. Nella decisione, anche quella urgente e drammatica, che il medico è chiamato a prendere, giocano un peso rilevante non solo i parametri fisiologici, nosologici ed epidemiologici (dai quali non si può prescindere), ma anche la ponderazione delle altre dimensioni della persona, quelle delle sue relazioni, dei suoi affetti, del suo spirito, del suo cammino nella vita e della sua vicenda umana e familiare.

Per questo è prezioso il richiamo, introdotto nella nuova bozza del Piano pandemico triennale, alla «azione in scienza e coscienza», alla «tutela della dignità» e al «riconoscimento dell’autonomia » del paziente, princìpi che fondano l’etica medica comune a cattolici e non cattolica e 'laici'. Non si tratta di un compito scontato, ma di una sfida ineludibile per coloro che sono chiamati a prendersi cura dei malati anche in situazioni straordinarie, come quelle di una pandemia.

Papa Francesco, nel messaggio che inviò il 7 novembre 2017 al Meeting europeo della Associazione medica mondiale, ci ha ricordato che «quando ci immergiamo nella concretezza delle congiunture drammatiche e nella pratica clinica, i fattori che entrano in gioco sono spesso difficili da valutare. Per stabilire se un intervento medico clinicamente appropriato sia effettivamente proporzionato non è sufficiente applicare in modo meccanico una regola generale. Occorre un attento discernimento, che consideri l’oggetto morale, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti. La dimensione personale e relazionale della vita [...] deve avere, nella cura e nell’accompagnamento del malato, uno spazio adeguato alla dignità dell’essere umano». È una valutazione da soppesare al letto di ogni paziente, ma «non facile nell’odierna attività medica, in cui la relazione terapeutica si fa sempre più frammentata e l’atto medico deve assumere molteplici mediazioni, richieste dal contesto tecnologico e organizzativo».