Opinioni

I costi dell'urbanizzazione. La crisi non ferma il cemento

Antonio M. Mira mercoledì 28 maggio 2014
​Il suolo è uno dei beni più preziosi dell’umanità. Consente la vita dei vegetali, degli animali e dell’uomo sulla superficie della Terra». Così si leggeva nel lontanissimo 1972 nella Carta Europea del Suolo approvata dal Consiglio d’Europa. Affermazione importante in un documento importante, eppure da allora il consumo di suolo non è mai calato. Anzi… Malgrado la crisi economica il dato del consumo di questo "bene prezioso" continua a crescere in Italia al ritmo di 8 metri quadrati al secondo, 70 ettari al giorno, persi in maniera irreversibile, tra urbanizzazione, cementificazione, erosione, inquinamento, cave e quant’altro. Pensiamo solo a quello che accade nella "terra dei fuochi", ma anche nelle periferie urbane o lungo le coste. E ne paghiamo le conseguenze in termini di perdita di terreno agricolo, perdita di biodiversità, aumento dell’anidride carbonica, dissesti idrogeologici. Denunce di veteroambientalisti, di nostalgici del "fanciullino"? No. È il mondo scientifico che lancia l’allarme. «Negli ultimi tre anni abbiamo consumato altri 720 chilometri quadrati – scrive l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nell’ultimo Rapporto sul consumo del suolo – altri 0,3 punti percentuali rispetto al 2009, un’area pari alla somma dei comuni di Milano, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo». In termini assoluti si è passati da poco più di 21mila chilometri quadrati del 2009 a quasi 22mila del 2012, mentre in percentuale è ormai perso irreversibilmente il 7,3% del nostro territorio. Suolo che non avremo più, se non a costi altissimi, difficilmente sopportabili. Insomma, è l’amaro commento dei tecnici e scienziati dell’ambiente dell’Ispra, «nonostante la crisi è ancora record». Ed è sempre più record.
Basta scorrere la tabella del rapporto che per la prima volta analizza l’andamento del consumo di suolo dagli anni ’50 a oggi. E la sorpresa è che oggi, in piena crisi, si consuma più suolo degli anni del "boom economico". Si passa così dagli 8.700 chilometri quadrati (2,9%) del 1956 ai 16.220 (5,4%) del 1989 ai 20.350 (6,8%) del 2006 e ai 21.890 (7,3%) di oggi. Un fenomeno nazionale, pur tra prevedibili differenze tra aree più o meno urbanizzate e industrializzate. Così al Nord-Ovest si è passati dal 3,9% degli anni ’50 all’odierno 8,4%, al Nord-Est dal 2,9% al 7,8%, al Centro dal 2,3% al 7,2%, al Sud dal 2,6% al 6,5%. A livello regionale Lombardia e Veneto viaggiano oltre il 10%, mentre tra l’8 e il 10 troviamo Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Sicilia. I comuni più cementificati sono Napoli (62,1%), Milano (61,7%), Torino (54,8%), Pescara (53,4%). Ma cosa ci stiamo perdendo? Partiamo dalla definizione del suolo come la troviamo, ad esempio, in un lavoro dell’Arpav, l’Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto, a conferma di come il fenomeno sia davvero all’attenzione del mondo scientifico. «Il suolo – si legge nel documento – è una risorsa limitata, composto di particelle minerali, sostanza organica, acqua, aria e organismi viventi, occupa lo strato superficiale della crosta terrestre e ricopre 1/16 della superficie del pianeta con una coltre molto sottile». Elemento essenziale degli ecosistemi, basti pensare al ruolo svolto per piante e animali, ma una sua qualsiasi alterazione può ripercuotersi non solo sulla sua capacità produttiva, ma anche sulla vita dell’uomo, sulla qualità dell’acqua che beviamo e dei prodotti agricoli di cui ci nutriamo. Anche qui i dati preoccupano. A fornirli è sempre l’Ispra. In primo luogo gli effetti sul clima. La «cementificazione galoppante», così la definiscono i tecnici, ha comportato dal 2009 al 2012 l’immissione in atmosfera di 21 milioni di tonnellate di CO2, una quantità, tanto per capirci, pari a 4 milioni di nuove utilitarie che percorrono 15mila km/anno.
<+CAP2IDEE>D<+TONDOIDEE_BAND>anno ambientale e danno economico: questo aumento di CO2 ha infatti un costo complessivo stimato di 130 milioni di euro. E già questo dovrebbe far riflettere. Strettamente legate sono le conseguenze sull’acqua. Ed anche qui i danni sono sia ambientali che economici. E pesantissimi. In questi 3 anni, infatti, tenendo presente che un suolo pienamente funzionante immagazzina acqua fino a 3.700 tonnellate per ettaro (circa 400 millimetri di precipitazioni), a causa dell’impermeabilizzazione abbiamo perso una capacità di ritenzione pari a 270 milioni di tonnellate d’acqua che, non potendosi infiltrare nel terreno, deve essere gestita. Termine tecnico ma le ricorrenti alluvioni fanno capire bene cosa voglia dire. Soprattutto se non si spende in "gestione". Quanto? In base a uno studio del Central Europe Programme, secondo il quale un ettaro di suolo consumato comporta una spesa di 6.500 euro (solo per la parte relativa al mantenimento e la pulizia di canali e fognature), il costo della gestione dell’acqua non infiltrata in Italia dal 2009 al 2012 è stato stimato intorno ai 500 milioni di euro. Tanto, sicuramente. Ma è solo per la gestione. Se non la si fa sono guai. Negli ultimi anni, dati Ance-Cresme, solo per riparare i danni di frane e alluvioni, si sono spesi 870 milioni di euro l’anno. Per non parlare delle oltre 9mila vittime dagli anni ’50 a oggi (coincidenza lo stesso spazio temporale del Rapporto Ispra…). Disastri accelerati anche dall’abbandono delle terre da parte dell’agricoltura. Secondo le ultime rilevazioni dell’Inea ("Agricoltura italiana conta 2012") il processo di impermeabilizzazione dei terreni rappresenta «una delle principali minacce al settore agricolo nazionale, considerato che la riduzione delle superfici coltivabili non solo incide negativamente sull’autosufficienza alimentare ma ha anche ripercussioni negative sull’ambiente, sulla preservazione della biodiversità, sulla gestione del territorio e sul paesaggio».
E anche qui i danni al "portafoglio nazionale" sono calcolabili. Se i 70 ettari di suolo perso ogni giorno fossero coltivati esclusivamente a cereali, nel periodo 2009-2012 avremmo prodotto 450mila tonnellate di cereali, con un calo della dipendenza italiana dalle importazioni un guadagno di 90 milioni di euro. Tema caldissimo, anche a Expo 2015, tutta centrata sul tema dell’agricoltura nazionale di qualità. Una scelta che si scontra, purtroppo, con gli scandali delle tangenti sugli appalti che, non è da escludere, potrebbe contribuire notevolmente al consumo di suolo. La storia del passato lo insegna e anche l’attuale. Il prossimo Rapporto Ecomafie di Legambiente confermerà il dato di quello dello scorso anno: a fronte di un forte calo dell’edilizia "legale", quella "in nero", abusiva e criminale, tiene il passo, malgrado la crisi, acquisendo nuove fette di mercato. Insomma si costruisce ancora, si cementifica ancora, si asfalta ancora ma "fuori legge". Lo confermano, indirettamente, i numeri di un altro rapporto di Legambiente, quello sulle cave. Quelle attive in Italia sono ancora 5.592 (quelle dismesse circa 17mila) che nel 2012 hanno estratto 80milioni di metri cubi di sabbia e ghiaia, 31,6 milioni di metri cubi di calcare e oltre 8,6 milioni di metri cubi di pietre ornamentali. Anche qui ottimo suolo che se ne va per poi contribuire, con l’urbanizzazione, ad altra perdita di suolo. Una situazione da tempo all’attenzione dell’Europa.Nel 2011 la Commissione ha approvato la "Tabella di marcia per un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse" che stabilisce che entro il 2020 le politiche della Ue dovranno tenere conto degli impatti prodotti dall’occupazione del suolo con l’obiettivo di raggiungere un consumo netto di suolo pari a zero per il 2050. Già nel dicembre 2012 il governo il governo Monti presentò un ddl per il contenimento del consumo del suolo, ma l’esame del Parlamento si bloccò per lo scioglimento anticipato delle Camere. Con la nuova legislatura sono state depositate molte proposte di legge di diversi partiti alle quali nel dicembre 2013 si è aggiunto quella dei ministri dell’Ambiente e delle Politiche agricole, del governo Letta. I progetti sono all’attenzione delle commissioni Ambiente e Agricoltura della Camera che, nelle scorse settimane, ha cominciato a discutere su un teso unificato. In attesa di una nuova e urgente normativa, per la serie "chi fa da sé fa per tre", i tecnici dell’Ispra chiedono l’aiuto dei cittadini. È, infatti, disponibile una App per segnalare nuove perdite di suolo. Attraverso uno smartphone è possibile inserire coordinate e foto per vederle poi subito on line sulla mappa dell’Ispra.