Opinioni

Il direttore risponde. Costumi e inerzie da capovolgere Le «quote rosa» servirebbero, per un po’

Marco Tarquinio mercoledì 12 marzo 2014
Gentile direttore,
penso che le “quote rosa” siano antidemocratiche e insulse. Perché? Semplice. 1) Ma non dovrebbe essere il popolo a eleggere i suoi rappresentanti? Se fosse veramente così, come è giusto, il tema delle “quote rosa” andrebbe subito in archivio. E non penso ci sia bisogno di ulteriori spiegazioni. 2) Il dibattito sulle “quote rosa”, nel modo in cui si sta svolgendo, parte da un presupposto: le donne sono incapaci, per cui diamo loro una mano. 3) La parità sancita dalla Costituzione è basata su un presupposto: parità di condizioni di partenza e poi vinca il migliore. Ma sembra che la maggior parte delle donne e uomini che siedono in Parlamento abbia paura di questo tipo di sfida. La conseguenza è il tentativo di adottare meccanismi burocraticamente compensativi (di cui i nostri politici sono esperti). Per me conta la democrazia, e l’autentica rappresentanza popolare.
Salvatore Arena, Milano
 
 
 
 
Caro direttore, in questi giorni abbiamo assistito (anche se senza esito) alla richiesta di garantire in Parlamento la “parità di genere”. E ciò in un Paese come il nostro dove è stata anche approvata una legge (la 120/11) che tutela l’equilibrio tra i generi negli organi delle società quotate. Perché queste richieste e queste leggi? Perché, si sostiene, la presenza di donne e uomini – cioè la differenza di genere – rappresenta una ricchezza per la società. Ci chiediamo perché si affermi che la presenza di uomini e donne in egual misura nella società e nella politica è una ricchezza, mentre si arriva a pretendere che questa presenza di un uomo e di una donna sia annullata e non garantita ai bambini con un deriva nella definizione della “famiglia” che tende a negare la naturale differenza di genere…
Luca e Paolo Tanduo, Silvia Rines Non è la prima volta che dico la mia su una questione che divide molto e trasversalmente. Anche se penso che ben pochi, oggi, almeno nella nostra porzione di mondo, neghino (o, comunque, si nascondano) che una società e uno Stato rappresentati e governati facendo a meno del “genio femminile” siano più poveri e rischino di più l’ingiustizia. Detto questo, ammetto tranquillamente che per parecchi anni l’ho pensata sostanzialmente (anche se non esattamente) come lei, gentile architetto Arena, arrivando a svalutare le “quote rosa” come soluzione sbagliata a un problema vero e serio. Soluzione sbagliata perché burocratica, artificiosa e, persino, un po’ insultante per le donne ridotte a “panda” da tutelare nel recinto pseudo–rassicurante di qualche comma di legge. E poi, nel mio piccolo, ero contento di aver risolto la questione con un “lodo elettorale”, per così dire, familiare: mia moglie e io, infatti, avevamo concordato che in linea di massima, tra tutti e due, avremmo sempre cercato di votare una donna e un uomo ogni volta che la possibilità di esprimere la nostra preferenza nonché le qualità personali (e i dichiarati programmi) dei candidati ce l’avessero consentito. Da uomo e da cittadino pensavo e ancora penso, infatti, che la via maestra per archiviare la sottorappresentanza femminile nelle assemblee elettive sia quella indicata a suo tempo dalla consorte dell’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, la signora Franca, che alle altre donne diceva più o meno così: «Siamo più della metà del corpo elettorale, decidiamoci a votare al femminile…». Già, una maggiore decisione delle elettrici cambierebbe tutto. Ma, a parte che non mi piace per nulla l’idea di un granitico e quasi obbligato voto per genere (uomini che votano uomini e donne che votano donne), è un fatto che per essere votate e votati nelle liste elettorali bisogna prima entrarci. E così, ormai da un bel po’, sono arrivato alla conclusione che anche in politica – soprattutto in tempi di liste bloccate (sebbene continui a sperare e a battermi perché non lo siano più…) – è importante, come già nel mondo dell’economia e dei consigli di amministrazione, forzare pregiudizi, schematismi e inerzie e introdurre norme che aiutino il cambiamento di un “costume” inveterato. Che è obiettivamente anti–donne. Per questo oggi dico che servono anche le “quote rosa”, cioè l’introduzione di quelle che, qualche volta anche su queste colonne, ho definito “norme mirate” a riassorbimento progressivo, a superamento calibrato... Ci si pensi, e nonostante il “no” della Camera ci si ripensi. Strumenti come la percentuale minima di candidature femminili garantita sono, infatti, utili per avviare e accompagnare un sano cambiamento. Anzi, un cambiamento naturale. Come la differenza uomo/donna su cui ragionano la signora Rines e i signori Tanduo. Che va semplicemente e seriamente rispettata. Senza vecchi e nuovi artifici per occultare e umiliare una realtà che è fertile di futuro e accogliente di ogni ulteriore “diversità” solo quando donne e uomini la condividono, con giusto modo e pari dignità.