Opinioni

Cosa significa essere europei. Nodi di cultura e spirito, non solo politici

Mauro Magatti mercoledì 29 maggio 2019

È la forza del tempo che cambia ciò che sta dietro i risultati delle elezioni europee. È infatti l’Europa di Maastricht a uscire ammaccata dal voto di domenica. Il Trattato che regge la forma attuale della Unione è figlio di un tempo (i primi anni 90) che non esiste più. Un tempo in cui era ancora possibile pensare che il mondo poteva essere governato semplicemente garantendo le condizioni per la crescita dell’economia finanziaria.

Ora però le cose sono molto diverse. E, col voto di questi giorni – che rispecchia non solo un nuovo Parlamento, ma anche equilibri nazionali molto diversi tra loro – nessun Paese, nemmeno la Germania, potrà più pensare che quello, schema possa reggere l’urto del tempo. Per navigare nell’oceano tempestoso del post-2008 la politica ha un ruolo molto più centrale e decisivo. E di politica non si può più fare a meno.

Anche se non ha vinto, l’ondata sovranista è così destinata a lasciare il segno. Il successo in due Paesi chiave come Francia e Italia lascia pochi dubbi sul fatto che l’Europa sarà ancora più esposta agli interessi nazionali. Così, senza colpi d’ala e contemporanei passi avanti all’insegna della concretezza, il rischio è che i prossimi anni assisteremo al ridimensionamento del progetto europeista. E forse anche al suo fallimento. Nel 1992 – nel cono d’ombra del Washington consensus della fine degli anni 80 – si pensava che l’economia fosse da sola un fattore di integrazione di una società sempre più individualizzata.

Oggi quella prospettiva non vale più. Bauman ha parlato di retrotopia per dire che il crollo delle speranze associate all’aumento del benessere individuale spinge una larga quota della popolazione a volgere lo sguardo all’indietro. Un movimento che in alcuni Paesi europei si traduce ormai da tempo nella nostalgia della appartenenza nazionalistica vissuta come vero e proprio riparo da quel senso di insicurezza avvertito da molti. È evidente che una tale reazione è tanto più forte quanto più la capacità di creare ricchezza e di condividerla si rivela inadeguata. Quando ciò accade, il fulcro dell’azione politica si sposta dall’economia all’identità. Dopo aver drammatizzato la questione dei migranti, ora Salvini, sulle orme di Orbán, fa sempre più frequentemente esplicito riferimento alla religione cristiana giocata come risorsa identitaria.

Pescando specie nei territori di periferia e tra gli anziani. Per sfuggire alla presa della paura e del risentimento, il tema è come riuscire a svolgere il discorso non egoistico, e non reattivo, del 'noi'. Che si sia capaci di creare nuova ricchezza integrando le comunità invece di disgregarle. Che ci si continui a dedicare alla ricerca dell’efficienza, senza mai disdegnare la questione del senso. Perché è solo insieme – costruendo il Bene comune – che si possono affrontare le sfide che abbiamo davanti. Diversi sono gli ingredienti che occorre mescolare per andare in questa direzione. Come dimostra la geografia dei risultati elettorali, a essere decisiva è la capacità di costruire istituzioni efficienti al servizio delle tante energie vitali che sono presenti nella nostra società italiana ed europea. Alle istituzioni i cittadini chiedono di fare bene il loro lavoro. Perché è evidente che nessuno si può più salvare da solo.

E questo si spera che lo abbiano capito tutti. Altrimenti saranno i fatti a renderlo sempre più chiaro. Far funzionare le cose, però, non basta. Per la sensibilità di oggi, l’efficienza non è un fine in sé, ma condizione per restituire il gusto di una condivisione di senso che è il vero legante degli sforzi diffusi a cui tanti contribuiscono. Le persone hanno voglia di fare e di dare il loro contributo. Di sentirsi parte di uno sforzo comune per migliorare la propria condizione, ma insieme per far crescere la comunità in cui vivono. Abbattendo così la contrapposizione tra interesse privato e collettivo del passato. Infine, in diversi Paesi, soprattutto in Germania, si è registrato un forte aumento dei Verdi. La sostenibilità è di certo un tema emergente capace di catalizzare interessi diversificati e che potrebbe sicuramente aiutare a qualificare il modello europeo.

Ma il problema è che fino ad oggi il voto verde tende a essere concentrato per ceto ed età. Come insegnano i 'gilet gialli' francesi, la questione ambientale è considerata prioritaria da chi è economicamente e culturalmente benestante, oltre che relativamente giovane. Non a caso, l’affermazione più eclatante di questa nuova formazione si è avuta in Germania, cioè nel Paese economicamente più avanzato dell’intero continente. Così, il tema della sostenibilità va accompagnato al di là di ogni steccato ideologico, nella prospettiva di quella 'ecologia integrale' di cui si parla nella Laudato si’.

Da tutto ciò affiora un’idea di futuro attorno a cui forse potrebbe aggregarsi una nuova idea di Europa: se non si vuole che nei prossimi anni l’intero progetto europei frani sotto i colpi di interessi nazionali divergenti, è venuto il momento di aprire una discussione su che cosa vuol dire essere europei. Sui nostri presupposti antropologici e spirituali, i nostri comuni obiettivi di senso. Così da arrivare a immaginare una Europa che abbia davvero dei tratti distintivi riconoscibili davanti agli occhi dei suoi cittadini e del mondo intero. Forse è stata proprio l’apertura di una tale discussione, che prima di essere politica è culturale e spirituale, il vero convitato di pietra della questione europea.