Opinioni

Minoranze. Cosa significa e quanto pesa negare l'italianità dei rom

Maurizio Ambrosini sabato 8 giugno 2019

Durante il suo viaggio in Romania, il Papa ha scosso ancora una volta le coscienze dei fedeli e delle opinioni pubbliche chiedendo perdono al popolo rom a nome di tutta la Chiesa per le persecuzioni inflitte a questa minoranza nel corso dei secoli. Più o meno in contemporanea il presidente della Camera Fico ha sollevato un vespaio di polemiche sottolineando che il 2 giugno è anche la festa dei rom e sinti e degli immigrati. Una frase non in linea con le politiche governative sostenute a lungo anche dal suo partito. Non si sono indignati solo gli odiatori da tastiera, ma anche esponenti della scena politica nazionale.

Il Governo è nato intorno a parole d’ordine come 'prima gli italiani', che implicano l’esclusione o l’inferiorizzazione di chi italiano non è, o non è considerato. Non è affatto vero che i partner siano divisi su tutto, come oggi molti sostengono. Un tratto politico- culturale caratterizzante dell’accordo tra Lega e 5stelle era e rimane il nazional-populismo, che si traduce nella contrapposizione dei bisogni e degli interessi degli italiani a quelli degli altri: richiedenti asilo, immigrati insediati da anni, seconde generazioni, minoranze interne a cui l’identità italiana viene negata. Già, perché di questo si tratta.

Difficile stabilire con precisione chi appartenga ai gruppi rom e sinti o ad altre componenti di questa composita galassia, e ancor più quanti siano esattamente. Il dato certo è che le prime notizie del loro arrivo in Italia dalla regione balcanica risalgono al Quattrocento, che nei secoli altri gruppi hanno continuato a entrare nel nostro Paese e a insediarsi, in parte in modo stabile, in parte conducendo una vita nomade.

Alcuni gruppi nel Centro-Sud, dove vivono ormai da secoli, hanno assunto il nome delle regioni in cui abitano: si parla così di rom calabresi, abruzzesi, campani e così via. Nelle regioni settentrionali si sono stabiliti invece i sinti, provenienti da Nord-Est, a cui appartengono storiche famiglie di circensi e di giostrai. Molti si sono assimilati e mescolati con la popolazione maggioritaria (quella che è peraltro problematico definire 'etnicamente italiana'), quasi tutti portano cognomi italiani.

Altri sono arrivati negli ultimi decenni, a seguito delle guerre balcaniche degli ultimi anni del Novecento e della libera circolazione all’interno dell’Unione Europea. In totale, su una stima abbastanza aleatoria di 150mila rom e sinti che vivono in Italia si calcola che quasi la metà siano in realtà cittadini italiani, e gli altri in grande maggioranza cittadini della Ue con diritti quasi del tutto assimilabili a quelli dei cittadini italiani. Negare l’italianità, anche solo verbalmente, a una minoranza che giuridicamente e storicamente la possiede è un’operazione sinistra e pericolosa.

Le persecuzioni delle minoranze in epoca moderna cominciano generalmente con il togliere loro la cittadinanza. La memoria delle leggi razziali del 1938 dovrebbe insegnarci qualcosa. E anche negare a dei concittadini della Ue l’appartenenza alla nostra società rappresenta un passo indietro nel processo di consolidamento di una casa comune europea. Quanto agli altri immigrati stabilmente residenti occorre ricordare che oltre un milione sono diventati italiani nel corso del tempo, che ormai nascono immigrati non solo di seconda, ma anche di terza generazione, che le famiglie miste sono una realtà crescente, che la maggioranza dei minori 'stranieri' sono in realtà nati in Italia e qui stanno crescendo e andando a scuola. I confini sociali della popolazione nazionale sono necessariamente porosi e dinamici.

Fare dell’italianità una roccaforte e un principio di esclusione va contro la storia, oltre che il diritto e la coscienza. Ci si dovrebbe domandare a che cosa serve, oltre che a raccattare un po’ di voti tra i cittadini disorientati dal cambiamento. Bene ha fatto il Papa a chiedere scusa ai rom. Le sue parole sono quanto mai attuali. Non valgono soltanto per condannare le persecuzioni del passato, ma anche per contrastare i pregiudizi del presente e per prevenire sviluppi inquietanti nel futuro.

Sociologo, Università di Milano e Cnel