Opinioni

La legge e la difesa del Creato. Ecoreati, pene più severe per chi inquina

Antonio Maria Mira giovedì 5 marzo 2015
Ci sono voluti 18 anni, anzi 21, per avere finalmente una legge sugli 'ecoreati'. Una norma che inserisca nel Codice penale, come reati, quei comportamenti illegali contro l’ambiente e la salute, attualmente sanzionati solo con contravvenzioni o pene irrisorie. Una norma che, come ha ricordato ieri il presidente del Senato, Pietro Grasso, forte anche della sua lunga esperienza di magistrato, «è una risposta al dolore della 'Terra dei fuochi' e dell’Eternit». Dolore per disastri ambientali e troppe morti che non hanno responsabili per assoluzioni provocate da mancanza di norme precise o per prescrizioni in tempi brevi provocate da pene molto lievi. Un terribile combinato disposto che ha garantito impunità e generato sfiducia, e che porta i nomi di processi come quello per il polo industriale di Porto Marghera, per la discarica di Bussi, per i rifiuti in Campania, per i morti dell’Eternit. Ieri, col via libera a grandissima maggioranza da parte del Senato, si è fatto un passo decisivo verso il traguardo. C’è voluto più di un anno per riuscire a votare a Palazzo Madama il ddl approvato dalla Camera nel febbraio 2014. Dopo alcune importanti modifiche, ora il provvedimento torna a Montecitorio dove si dovranno votare solo le novità e quindi i tempi dovrebbero essere rapidi per sanare finalmente la «latitanza del Legislatore in materia di ridefinizione della normativa penale ambientale invocata da antica data», come ha scritto la Procura nazionale antimafia (Dna) nella Relazione annuale appena depositata. «Siamo soddisfatti perché sicuramente è un’importantissima arma in più per combattere i crimini ambientali ed è stato migliorata rispetto al testo della Camera. Ma siamo anche cauti perché non vorremmo che poi dal cilindro uscisse un coniglio nero e non bianco – commenta il consigliere Roberto Pennisi che in Dna si occupa proprio di questo settore –. C’è sempre la possibilità di qualche trucco. Qui gli interessi economici in gioco sono rilevantissimi. Per questo noi preferiamo parlare di delitti di impresa piuttosto che di delitti di mafia. Questi criminali danneggiano il Paese perché danneggiano ambiente e economia». Ma ora, è l’appello di Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente, «va approvato dalla Camera senza cambiare una virgola. Va bene così come è. Se c’è la volontà politica si può approvare anche la prossima settimana, compatibilmente col calendario di Montecitorio. Ma dobbiamo tenere alta l’attenzione perché le lobby industriali non si daranno certo per vinte». Lobby che l’hanno spuntata per tanto tempo. A lanciare per la prima volta la proposta di inserire i reati ambientali nel Codice penale fu proprio Legambiente nel lontanissimo 1994, appunto i 21 anni, in occasione della presentazione del primo Rapporto Ecomafie. Ma per avere la prima proposta di legge si è dovuto attendere il 1998, ecco i 17 anni, quando a elaborarla fu la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti (la cosiddetta 'commissione ecomafie') che l’approvò all’unanimità. Era la stessa commissione che aveva ascoltato il collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, morto pochi giorni fa, che aveva rivelato gli affari dei 'casalesi' sullo smaltimento illecito dei rifiuti. Proprio questi voleva combattere la proposta di legge che rimase nel cassetto per cinque legislature. «Ora quasi alla maggiore età finalmente la riusciamo a vedere. Certo quasi 18 anni di ritardo...», commenta tra il soddisfatto e lo sconsolato Massimo Scalia, ex parlamentare dei Verdi che di quella commissione era il presidente. «È una buona notizia, è una buona legge e speriamo che non abbia altri intoppi – aggiunge –. Certo se penso che Paesi con meno problemi di noi come Grecia, Spagna e Portogallo l’hanno approvata negli anni ’80...». Problemi che si chiamano ecomafie e criminalità ambientale. Un affare da 15 miliardi di euro all’anno finiti nelle tasche di 321 clan mafiosi ma anche di tanti imprenditori, politici e amministratori 'ecofurbi'.   Una quantità spaventosa di reati accertati, oltre 29mila nel 2013, più di 80 al giorno, ma che restano in gran parte impuniti o puniti in modo lieve. Ora si volta pagina, in particolare con l’introduzione dei nuovi reati di inquinamento ambientale e disastro ambientale, i due caposaldi della riforma. Il primo punisce con la reclusione da 2 a 6 anni chiunque abusivamente provoca una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo, e prevede aggravanti se vengono procurate lesioni o morti. Il secondo, definito «alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema», è punito con la reclusione da 5 a 15 anni. Reati per i quali i termini di prescrizione vengono raddoppiati. C’è poi il delitto di traffico ed abbandono di materiale ad alta radioattività, punito con la reclusione da 2 a 6 anni, quelli di impedimento del controllo e di omessa bonifica (da uno a quattro anni). E proprio a proposito di risanamento è prevista una diminuzione di pena (dalla metà a due terzi) per chi collabora con la giustizia, chi provvede prima del dibattimento alla messa in sicurezza e alla bonifica e al ripristino dello stato dei luoghi. Per quest’ultimo caso l’Aula del Senato ha eliminata la 'non punibilità' per delitto colposo che era stata inserita in commissione e fortemente sostenuta dalle lobby imprenditoriali. Resta dunque la pena anche se scontata. «Siamo all’ultimo miglio. Ora la Camera faccia presto. Sono norme fondamentali per stroncare i business criminali sul territorio», afferma il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti parlando di «passaggio storico» e chiedendo che «la Camera lo approvi presto senza ulteriori modifiche». «Un ottimo provvedimento» che mette insieme «una maggioranza molto più ampia di quella del governo. È la risposta alle molte ferite che hanno colpito il nostro Paese in ambito ambientale» sottolinea il ministro della Giustizia, Andrea Orlando.   Una normativa, aggiunge il Guardasigilli, sulla quale aveva «assunto un impegno come ministro dell’Ambiente, per questo ho provato enorme soddisfazione ad assistere a questo passaggio». E di «passo avanti importante e a lungo atteso» parla anche il presidente della commissione Ambiente della Camera Ermete Realacci, primo firmatario della proposta di legge originaria. «Si avvicina il traguardo – aggiunge – di rendere le nostre normative adeguate ai sempre più diffusi reati contro l’ambiente e la salute dei cittadini» ricordando l’impegno di alcune delle maggiori associazioni italiane, come Legambiente e Libera «che da ultimo hanno anche lanciato un appello sottoscritto da migliaia di persone». Un primo passo. Ora ne serve un altro non meno importante. «Dopo aver lavorato sulla repressione contro chi provoca disastri, ora serve rafforzare il sistema dei controlli ambientale per evitare i disastri», ricorda ancora Ciafani. C’è un altro progetto di legge anche questo approvato dalla Camera più di un anno fa e da allora fermo al Senato. Quanto bisognerà aspettare ancora?