Opinioni

Le vere ragioni della strage di Mazar-i-Sharif. Corani bruciati e orribili delitti. Come pervertire la religione

Fulvio Scaglione sabato 2 aprile 2011
Contro tutte le appa-renze, riesce impos-sibile credere che alla base della strage nella sede Unama (la missione Onu di assistenza all’Afghanistan) di Mazar-i-Sharif vi sia stata una feroce rabbia popolare per lo stupidissimo gesto del pastore americano Terry Jones che il 20 marzo, insieme con un sodale di nome Wayne Sapp, ha organizzato in Florida un processo all’islam che si è concluso con il rogo di una copia del Corano. Jones ci aveva già provato nel settembre 2010, di quest’ultima bravata si è parlato molto anche in Pakistan, Paese dalle pulsioni spesso parallele a quelle afghane. Ma l’assalto  agli uomini e donne indifesi dell’Onu è parso troppo ben pianificato e organizzato, con armi pronte e nascoste in anticipo, per essere solo un pogrom del popolino. Riesce difficile anche credere, però, che una tale esplosione di violenza sia frutto solo del fanatismo religioso. Mazar-i-Sharif, è vero, vuol dire "Nobile tempio", la città è sede della cosiddetta Moschea Blu e anche, secondo una tradizione che in realtà è leggenda, della tomba di Ali ibn Abi Talib, cugino e genero di Maometto. Un centro a forte valenza religiosa, dunque. Capoluogo di una regione, però, abitata soprattutto da tagiki, un’etnia non particolarmente nota per una visione estremista dell’islam, e da hazara, una minoranza sciita che nulla ha a che fare con il terrorismo sunnita nello stile di al-Qaeda. Anche le due persone decapitate sembrano un simbolo troppo clamoroso, volutamente clamoroso. Convince di più pensare che ancora una volta la religione sia stata usata, anzi pervertita, per scopi assai più terreni e per questo bisognosi di una "copertura" che potesse esser spacciata per "nobile". Il primo tra questi scopi, quello che da dieci anni guerriglieri e terroristi perseguono senza cedimenti, è cacciare gli stranieri e, soprattutto, impedire il consolidamento dello Stato afghano. Non importa che quello attuale, presieduto da Hamid Karzaj, sia tutt’altro che uno Stato ideale. È l’idea stessa di una forma di Governo nazionale ed unitaria a essere intollerabile per i vari "signori della guerra". Da questo punto di vista, la missione Unama era un bersaglio ideale: indifesa ma, proprio perché espressione dell’Onu, tale da richiamare uno sdegno internazionale che certo farà ridestare i dubbi sull’opportunità della missione in Afghanistan, dubbi che già agitano i Governi di troppi Paesi occidentali. Non può essere casuale, in questo senso, che la strage sia avvenuta proprio mentre nella capitale Kabul 150 delegati di 34 province portavano al Governo e al presidente Karzaj le proposte e le richieste della società civile, rappresentata dalle organizzazioni che, oggi più che mai, sono il preannuncio del nuovo Afghanistan che si vorrebbe costruire. Non bisogna dimenticare, infine, che Mazar-i-Sharif occupa una posizione strategica quasi unica in Afghanistan. Posta al confine Nord e affacciata su Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan, è la vera porta del Paese verso l’Asia Centrale e la Russia. In quanto tale ha visto le battaglie decisive di molte guerre (compresa quella del 2001 contro i taleban) ma, in tempo di pace, è diventata lo snodo principale del traffico di stupefacenti verso Nord e verso le autostrade della droga che puntano al territorio russo per far fluire la merce in direzione Ovest. Qualche tempo fa Sergej Ivanov, capo del Servizio federale russo anti-droga, aveva valutato in 65 miliardi di dollari il valore sul mercato al consumo degli stupefacenti prodotti e smerciati a partire dall’Afghanistan, e solo in minima parte (l’1% circa) controllati dai taleban. Qualcuno sarà felice di aver chiuso con la violenza certi occhi indiscreti di Mazar-i-Sharif.