Opinioni

Alcuni studi indicano la via per superare egoismo e cinismo di massa. Contro l’evasione non spot ma spazio alla tanta sana normalità

Luigino Bruni domenica 15 gennaio 2012
Un recente studio sperimentale svolto in Inghilterra (Robin Cubitt e colleghi, Journal of Public Economics, vol. 95, 2011), ha fatto emergere aspetti non ovvi e che hanno cose serie da dire anche per l’evasione fiscale in Italia. Questi ricercatori hanno mostrato che il giudizio morale nei confronti di chi non contribuisce ai beni pubblici, come nel caso dell’evasione fiscale, dipende molto dalle nostre credenze e aspettative sul comportamento degli altri. In particolare, nei vari esperimenti condotti, in tutti si riscontra una condanna morale nei confronti degli evasori, tranne che in un solo caso: quando, cioè, l’evasione fiscale di Anna avveniva dopo aver osservato l’evasione dell’altro soggetto, Bruno, con il quale Anna interagiva. Si tende, cioè, a condannare meno e a giustificare di più l’evasione fiscale, degli altri e nostra, quando si crede che le persone del nostro stesso gruppo siano anch’esse evasori. Generalizzando un po’ i risultati di questi esperimenti, e guardando anche a cosa dicono altri studi sui medesimi temi, è come se la società fosse, idealmente, suddivisa in tre gruppi di persone (o di comportamenti). Il primo è composto da coloro che non evadano mai in nessun contesto e a ogni costo; nel secondo gruppo ci sono invece coloro che evadono sempre e in ogni caso; nel terzo infine, normalmente il più numeroso, ritroviamo coloro che evadono se credono che nella loro comunità (locale e/o nazionale) non ci siano abbastanza persone che pagano le tasse. Le persone di questo gruppo hanno tutte un livello di abbastanza (detto anche valore soglia), ma ciascuna persona ha il suo valore. Ad esempio, per Anna può bastare pensare che il 50% di concittadini siano onesti perché anch’essa paghi le tasse; per Bruno il 30%, e per Carla il 95%. Ciò che si dimostra è che la cultura di legalità di un Paese dipende quasi interamente da due fattori: (a) dalla numerosità del primo gruppo (gli "onesti" incondizionali): se questi sono troppo pochi, la cultura della legalità non si affermerà mai; (b) dai livelli dei valori soglia (dall’ abbastanza ) dei cittadini medi (appartenenti al gruppo 3), poiché se questi sono molto alti, se cioè queste persone hanno bisogno di credere che siano molti, moltissimi, ad essere onesti per esserlo anche loro, è molto difficile ottenere cambiamenti positivi nella cultura fiscale e della legalità della popolazione. Va poi notato che questi valori soglia dipendono decisamente dall’educazione famigliare nei primi anni di vita, ma dipendono molto dai segnali che emettono la politica e la classe dirigente (i condoni, ad esempio, li alzano terribilmente). È mia impressione che negli ultimi decenni, e in Italia in modo tutto particolare e massiccio, si stia sbagliando nella comunicazione pubblica relativa all’evasione fiscale. Se, infatti, prendiamo sul serio questi studi, dovremmo trarne alcune indicazioni molto chiare. Innanzitutto dovremmo sottolineare di meno che in Italia ci sono tanti evasori fiscali; non perché non sia (in buona parte) vero, ma perché porre l’accento soprattutto o unicamente su questo dato non fa altro che 'convertire' alcuni dei cittadini del gruppo intermedio (il terzo), che se hanno l’impressione di essere circondati da evasori, cambiano marginalmente il loro giudizio morale sul fenomeno, ed evadono anch’essi. Quindi, per un esempio molto concreto, dovremmo ritirare o cambiare quegli spot che continuano a parlarci della presenza in mezzo a noi dei parassiti sociali. Quale dovrebbe essere il loro scopo? Non quello di convertire gli evasori incondizionali del gruppo "due", che non cambieranno di certo strategia per il senso di colpa dopo aver visto lo spot. Ciò che invece producono con certezza, al di là delle buone intenzioni di chi li ha pensati, è aumentare la credenza nei cittadini medi che il mondo è pieno di evasori. Oggi l’Italia e l’Occidente soffrono per un cinismo e un pessimismo di massa, che è anche alla radice di questa crisi. Per curarlo può anche essere utile iniziare a raccontare di più nei media le buone pratiche di cittadini onesti, di imprenditori civili, di banche virtuose, ma senza presentarli (come si tende a fare) come eroi o eccezioni, o, peggio, come storie innocue e irrilevanti da collocare nelle apposite trasmissioni dei buoni sentimenti, ma come la normalità. Nei tempi di grave crisi morale, come sono i nostri, si ricostruisce il tessuto civile di speranza mettendo anche in luce che insieme alla zizzania, che rimarrà fino alla fine dei tempi, c’è tanto grano buono.