Opinioni

Netanyahu, la Shoah, Hitler e il Muftì. Contro i palestinesi memoria sacrificata

di Anna Foa giovedì 22 ottobre 2015
Le dichiarazioni fatte dal premier israeliano Netanyahu al Congresso Mondiale Sionista sono a dir poco incaute, come le ha definite l’organo dell’Ucei, il 'Moked' di ieri. «Hitler non voleva sterminare gli ebrei, all’epoca, voleva espellere gli ebrei. Amin al-Husseini andò da Hitler e gli disse: 'Se li espelli, verranno tutti qui (in Palestina, ndr). "Cosa dovrei fare con loro?", chiese Hitler. Il Muftì rispose: 'Bruciali'». Pur essendo figlio di un importante storico, il premier israeliano mostra qui di non avere troppo assorbito il clima familiare e di sottomettere la verità storica alle esigenze della politica. All’epoca dell’incontro tra Hitler e il Gran Muftì, infatti, gli stermini nelle zone interessate dall’operazione Barbarossa, l’attacco all’Unione Sovietica del 22 giugno 1941, erano già iniziati da mesi. Le Einsatzgruppen, unità speciali costituite da SS e polizia, accompagnavano l’avanzata delle truppe naziste, svuotavano i villaggi e le città degli ebrei, li portavano nei boschi e li fucilavano sull’orlo delle grandi fosse che avevano fatto loro scavare. La sola menzione del massacro di Babi Yar, nel settembre 1941, quando oltre 33mila ebrei, uomini, donne, vecchi e bambini, furono sterminati presso Kiev, basta a dimostrare che la Shoah era cominciata molto prima del famoso incontro tra al-Husseini e Hitler. Non solo: la costruzione dei campi di sterminio (si badi bene, di solo sterminio, non di concentramento) di Belzec e Chelmno, in Polonia, era già iniziata nell’ottobre del 1941. La semplice cronologia è qui sufficiente a smentire le incaute affermazioni del premier.  Come la storiografia concordemente o quasi  sottolinea, il passaggio dall’ipotesi dell’emigrazione alla realizzazione dello sterminio avvenne nel giugno 1941, con l’inizio dell’Operazione Barbarossa, che segnò, come scrive lo storico Raul Hilberg, «una rottura nella storia».  Questo non rende il gran Muftì di Gerusalemme meno vicino a Hitler, ma esclude nettamente che potesse essere l’ispiratore della Shoah. Husseini si stabilì nel novembre 1941 a Berlino da dove operò in tutti i modi per sostenere la politica hitleriana, sia con la propaganda sia con la formazione di speciali unità SS musulmane. Ma non ispirò nulla a Hitler, non fu in nessun modo l’ideatore, o nemmeno uno degli ideatori, dello sterminio.  Come ha detto ieri, in risposta alle affermazioni di Netanyahu, un portavoce del governo tedesco: «Siamo noi tedeschi a essere responsabili dello sterminio degli ebrei».  Che cosa significa quest’ assurda polemica? Che pur di attaccare i palestinesi, Netanyahu è pronto a far passare in secondo piano tutta l’opera di ricostruzione storica, di elaborazione della memoria, di vero e proprio culto dello sterminio del popolo ebraico che dal processo Eichmann in poi è stata tanto significativa ed importante per Israele. I veri nemici sono quelli di oggi, cioè gli arabi. Anzi, sono loro che hanno ispirato la Shoah e che oggi si accingono a ripeterla. Questo il senso delle affermazioni del premier.  L’attacco di Netanyahu a uno dei pilastri dell’identità israeliana, la memoria della Shoah, ha suscitato in Israele reazioni durissime sia tra gli storici sia tra i politici, ed è stato visto come una forma di autentico revisionismo. In realtà, l’idea che sia ora di finirla di guardare alla Shoah ed invece di occuparsi dei nemici di oggi è già presente da un po’ nel dibattito, sia in Israele sia in Italia. Ora, Netanyahu ha trovato una via d’uscita 'geniale' per salvare capra e cavoli: il nemico è uno solo, allora ed ora, quello palestinese. I nostrani negazionisti filopalestinesi dovranno riaggiustare il tiro, ma che importa?