Opinioni

L’offerta dei consacrati, un segno per tutti. Con la libertà del dono

Anna Maria Cànopi sabato 2 febbraio 2013
​Come le stelle sono il sorriso di Dio nelle tenebre della notte, così le feste liturgiche illuminano di gioia e di speranza il pellegrinaggio dell’uomo credente verso la patria celeste. Nella sua sapiente pedagogia, la Chiesa ha voluto affidare ad alcune di queste feste una particolare intenzione, per la crescita spirituale dei suoi figli diversamente impegnati nella vigna del Signore. Così l’odierna festa della Presentazione di Gesù al Tempio è designata come Giornata dei consacrati: scelta ricca di suggestione e carica di significato. La liturgia di questa festa, mentre da una parte ci riporta al clima del Natale, dall’altra già ci trasporta in quello della Pasqua, ricordandoci la profonda unità del mistero di Cristo, di Colui che nasce per morire e muore per farci rinascere a vita nuova. Il Bambino, preannunziato dai Profeti e nato a Betlemme per la salvezza di tutti, dopo quaranta giorni, in obbedienza alla Legge, è presentato al Tempio e offerto per le mani di Maria. Nell’inno gregoriano proprio di questa festa, rivolgendosi a Maria si canta: Offer per quem offerimur, offri Colui per mezzo del quale noi stessi siamo offerti, quasi a voler dire: offri anche noi con Lui come «sacrificio vivente, santo e gradito a Dio» (Rm 12,1). In questo nostro tempo, tanto segnato dal relativismo etico, dal dubbio, dall’indifferenza, dall’angoscia esistenziale, è urgente ravvivare la nostra fede nella partecipazione all’offerta sacrificale di Cristo per la salvezza di tutti. Ecco il cuore di quella «nuova evangelizzazione» di cui quest’anno il messaggio per la Giornata della vita consacrata chiede di farci carico in modo forte e incisivo. I consacrati sono, dunque, chiamati a prendere sempre più coscienza di essere offerti, ossia di essere chiamati a partecipare al mistero pasquale di Cristo attualizzato nella Chiesa. Oblatus est quia ipse voluit, si canta nel Triduo pasquale: Cristo fu offerto, perché Egli stesso lo volle; fu crocifisso, perché così Egli aderì pienamente al disegno salvifico del Padre. Al momento della professione religiosa – nel cuore della liturgia eucaristica – i consacrati pongono se stessi sull’altare – come il pane e il vino – per essere uniti al Cristo obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Quell’atto pubblico e solenne viene poi ratificato ogni giorno. Ogni giorno, infatti, si deve rinnovare l’offerta nella piena libertà e nella gioia del dono, per diventare eucaristici. Lo Spirito Santo, che mosse Simeone e Anna ad andare al tempio per accogliere dalle braccia della Madre Colui che è Lumen gentium – la Luce e la salvezza di Israele e del mondo intero – spinge anche oggi uomini e donne a incontrarsi con Colui che è la Luce, così da diventare essi pure luce per illuminare le tenebre che sempre incombono sul mondo. Ciò comporta un impegno risoluto e costante nella santità, senza per questo sentirsi migliori, anzi, assumendo tutte le debolezze dei fratelli per stare con loro umilmente sotto lo sguardo del Padre misericordioso. Riflettendo sul mistero di questa festa, san Bernardo nota che l’offerta presentata al tempio è molto gracile e delicata, è tutta luce e gioia: è un bambino che dolcemente viene stretto tra le braccia, ma «verrà un giorno quando non sarà offerto nel tempio, né sulle braccia di Simeone, ma fuori della città, sulle braccia della croce. Verrà un giorno, in cui non sarà riscattato dal sangue altrui, ma riscatterà gli altri con il proprio sangue, perché Dio Padre lo inviò per la redenzione del suo popolo» (III Sermone per la Purificazione di Maria). La presentazione di Gesù neonato al tempio è preludio del suo supremo sacrificio pasquale; per questo anche Maria, la Madre, ne è coinvolta: «Anche a te – dice Simeone – una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35). Così pure ogni cristiano, ma in modo speciale i consacrati, devono lasciarsi trafiggere il cuore. La testimonianza della fede comporta, infatti, la radicalità nel dare il primato a Dio in tutte le scelte, poiché a nulla varrebbe una fede soltanto teorica, staccata dal realismo, talvolta duro, della vita; un duro realismo che non sgomenta chi ha sempre davanti agli occhi la prospettiva escatologica, ossia il Regno eterno che già viene nell’umana storia e fa passare il tempo cronologico (chrónos) nel tempo di grazia (kairós). È proprio compito speciale dei consacrati affrettare per tutti il compimento del Regno lasciandosi coinvolgere dagli eventi della storia, ma sempre trascendendoli, istante per istante, nell’offrirsi in purezza di cuore e nello slancio oblativo dell’amore: «Per coloro che ti ignorano, prendimi, o Signore, affinché ti conoscano. Per coloro che ti dimenticano, prendimi, o Signore, affinché ti ricordino. Per coloro che ti insultano, prendimi, o Signore, affinché ti amino. Per coloro che ti tradiscono, prendimi, o Signore, affinché diano la vita per te» (Giuseppe Canovai).