Opinioni

Oltre il dolore, perché la vita possa ricominciare. Compassione senza misura Solidarietà senza esclusione

Paola Ricci Sindoni domenica 11 ottobre 2009
Di fronte alla muta presenza di tante bare, che hanno raccolto le povere spoglie delle vittime dell’alluvione abbattuta­si a Messina nella notte del 1° ot­tobre, non rimangono che le la­crime e la preghiera. Le lacrime di tutti, dei familiari in primo luogo, oggi svuotati di ogni cosa, degli affetti più cari e dei piccoli grandi beni che ogni casa custodisce, frutto dei ri­sparmi di una intera vita. E poi il dolore per la scomparsa del pro­prio paese, in cui si è cresciuti, con gli occhi davanti al mare e alle spalle – almeno sino a qual­che decennio fa – le colline av­volte da una folta vegetazione e da terrazzamenti di una agricol­tura fertile, che le rendevano sentinelle contro le impervie condizioni del tempo. E anche le lacrime di una città, devastata da antiche e nuove ferite, stretta e muta di fronte a questo collasso, espressione violenta di una ca­lamità naturale e dell’imprevi­denza degli uomini, segno di u­na rottura e di una capitolazio­ne dello spirito, quando davve­ro sembra che tutto si fermi e che non ci sia nulla più da dire. L’irrecuperabile perdita di tante vite umane, seppellite da quel fango diventato il ventre di un mondo opaco in cui riversare do­lore e rabbia, demagogia e qua­lunquismo, richiede il tempo della memoria, mediante cui continuare a onorare le vittime. Volti da guardare a uno a uno: li­neamenti sereni, impressi nelle foto rimaste, che ci restituisco­no bambini, coniugi anziani, giovani e ragazze, madri, padri, nonni. E nomi da scandire a uno a uno: come è stato fatto, all’ini­zio della celebrazione liturgica in Duomo, dai parroci dei paesi colpiti. Le lacrime di tutti, epifania del­la compassione senza misura e senza esclusione, hanno trovato nel silenzio composto e com­mosso delle migliaia di persone accorse in Cattedrale riunite nel­la preghiera corale, un momen­to solenne, che ha avuto il suo acme con l’omelia dell’arcive­scovo, monsignor Calogero La Piana. Con forza e con misura queste parole autorevoli e pa­terne hanno toccato l’anima di tutti, quando hanno invocato per i defunti la promessa di vita eterna nelle braccia del Padre, e per i sopravvissuti la richiesta pressante di sostegno spirituale e materiale, soprattutto di spe­ranza, di diritto a reclamare una messa in sicurezza del proprio territorio, così che la vita possa ricominciare. L’omelia dell’arcivescovo si è co­sì snodata su questo doppio re­gistro: da un lato il pensiero con­templativo del grido di abban­dono del Figlio sulla croce, ico­na universale del dolore di tutte le vittime e di tutte le violenze naturali e storiche. Dall’altro il rifiuto del clamore irriverente di chi continua a strumentalizzare responsabilità sociali e politiche di questa povera terra. Il grido si­lenzioso delle vittime, ha conti­nuato l’arcivescovo, sia invece di richiamo a una speranza forte, coltivata dalla promessa di ri­scatto dell’amore di Dio verso i suoi figli e alimentata dalla fidu­cia che le istituzioni si incarichi­no di gestire con oculatezza e lungimiranza un territorio trop­pe volte deturpato dall’incuria degli uomini e dalle distrazioni della politica, «questo territorio unico e affascinante» (come ha detto monsignor La Piana, più volte sostenuto dal caldo ap­plauso della sua gente). Le lacrime e la preghiera nella Cattedrale di Messina hanno co­sì potuto rintracciare nelle paro­le del suo pastore una direzione di significato profondo, incar­nando il bisogno di estrema compassione per i morti e di e­strema solidarietà per i feriti e i sopravvissuti, perché ritrovino, nel momento della prova e del­l’incertezza, le potenti ragioni della rinascita.