Opinioni

La missione della sonda Rosetta. Cometa, noi stupiti davanti al mistero

Marina Corradi giovedì 13 novembre 2014
La sonda Rosetta ha viaggiato nel sistema solare per 500 milioni di chilometri, per dieci anni, inseguendo la cometa 67/P Churyumov-Gerasimenko nella sua orbita attorno al Sole. Poi ieri dalla sonda si è staccato il lander, o navicella, Philae, e sono state ore trepidanti: avrebbe saputo quel congegno non più grande di una lavatrice, 100 chili di peso – meno che un pulviscolo nella immensità dell’universo – posarsi sulla scoscesa superficie di 67/P? E delicatamente abbastanza per non incrinare i suoi delicati congegni, e quindi rilevare dati e trasmetterli alla Terra?  Guardando le foto di quel minuscolo ragno bianco nel nero dello spazio, pareva una pretesa assurda inseguire la folle corsa di una cometa, e catturarla, e gettare nel suo ghiaccio le due ancore che, come una nave in porto, l’hanno assicurata alla meta. È successo: alle 16.35 ora italiana di ieri Philae ha 'toccato', alle 17.02 tramite la sonda madre è rimbalzato sulla Terra il primo flebile 'bip'. Allora all’Esa, l’Agenzia spaziale europea con sede a Darmstadt, è esploso l’applauso: dieci anni di pellegrinaggio dietro a un corpo spaziale piccolissimo, 4 chilometri di diametro al massimo, felicemente conclusi con un prodigioso atterraggio.  Come si sta, su P/67? Fa un gran freddo, meno 160 gradi. Le prime immagini descrivono superfici ghiacciate e scoscese che paiono canaloni di inviolate montagne. E già a pochi minuti dall’atterraggio, da Philae sono calate piccole punte di trapano che con discrezione hanno cominciato a trivellare. Non di tanto: 25 centimetri appena. Per scoprire di che cosa è fatta quella materia, rimasta uguale a come era 4,6 miliardi di anni fa: il che vuol dire che nelle zolle di gas ghiacciato si possono celare i segreti dell’origine stessa del sistema solare (è nota l’ipotesi degli astrofisici secondo cui la vita potrebbe essere stata portata sulla Terra proprio da una cometa). E dunque abbiamo molte cose da chiedere a P/67, e le risposte potranno rivoluzionare le conoscenze di astrofisica. Per cui questo 11 novembre è un giorno straordinario.  Ma a noi, che nulla capiremo mai di ciò che Philae ci trasmetterà attraverso Rosetta (chiamata come la stele che permise di interpretare i geroglifici egiziani), resta, da ignoranti quali siamo, uno stupore, un thauma anche più grande: per ciò che gli uomini (e anche italiani, perché parti di Rosetta sono state assemblate a Milano e a Torino) hanno saputo fare, e per quelle prime immagini dalla voragine dello spazio, con i candidi vergini crepacci di neve siderale. Già quelle immagini anzi ci inducono una sorta di silenziosa devozione; ci viene in mente Dio del libro di Giobbe («Per quale via si va dove abita la luce?/ e dove hanno dimora le tenebre/ perché tu le conduca al loro dominio..»).  E la coda? Potrebbe chiedere un figlio bambino, dove è la coda di P/67? La coda, gli diremo, si forma quando una cometa si approssima al sole: allora anche questa nomade del cielo emetterà la luce splendente, che ogni bambino disegna sulla capanna del presepe. Ma, e questa non se la aspettavano neanche gli scienziati, la cometa canta: è un suono fatto dalle oscillazioni del campo magnetico attorno al suo corpo, ed è emesso a frequenze non udibili all’orecchio umano. Dai segnali di Rosetta, i ricercatori dell’Esa hanno amplificato quel suono 10.000 volte: e ora quella canzone si può ascoltare sul web. È un misterioso accordo di note ripetitive, metalliche, come l’indecifrabile eco di galassie lontane. È come una lingua mai udita, eppure chissà che in quelle misteriose frequenze, come nella stele di Rosetta, non ci sia un segreto da decifrare. Intanto noi, ignoranti, lo abbiamo ascoltato con commozione e stupore: nel silenzio di abissi dell’universo, la cometa canta.