Opinioni

La truffa choc degli aborti attribuiti a falsi incidenti. Come taglia sulla testa dei figli

Giuseppe Anzani mercoledì 28 gennaio 2015
Non chiamatela truffa, voi ragionieri del diritto e dei delitti, una truffa è menzogna e denaro, qui c’è invece denaro e sangue. Una truffa ha la mala intelligenza dell’inganno, è trappola di cervelli che lucrano denaro e beffano la vittima, qui c’è invece la torva crudeltà della morte, quasi l’incasso d’una taglia posta su una testa umana. E la testa è la testa d’un figlio.Ciò che lascia senza fiato, leggendo la notizia degli arresti di Pavia, dove gli inquirenti sono sulle piste di storie truffaldine in cui affiorano persino degli aborti, attribuiti a incidenti simulati per incassare più lauti indennizzi, è che segue di pochi giorni lo choc procurato dalla vicenda di Corigliano Calabro, dove l’accusa è d’aver estratto prematuramente dal grembo d’una madre il figlio settimino per lasciarlo morire e – fingendolo morto per colpa di un incidente stradale inventato – riscuotere dall’assicuratore il risarcimento per quella tremenda perdita. Si deve supporre dunque che l’orrore non è un fatto isolato, e che l’incredibile può divenire seriale?Sullo sfondo, qualcosa di già visto c’è davvero, e c’era da tempo sul piano delle truffe assicurative. In quell’immenso fiume di denaro collegato ai premi e ai risarcimenti, agli incidenti, alle perizie, alle testimonianze, alle tabelle e ai punteggi, al contenzioso gigantesco, che s’intrufolasse a volte la disonestà e il tentativo di truffa si sapeva. Se ne parlava, si facevano stime per milioni di euro di danni, si scrivevano pagine e pagine; si apprendeva con sgomento che fra gli arrestati c’erano carrozzieri, periti, liquidatori, avvocati, medici, con l’immagine desolante di una complicità trasversale (così ad esempio nell’inchiesta di Lecce del dicembre scorso; ma anche altrove). Si era persino coniato il termine “sinistropoli”, in occasione della maxi inchiesta di Piacenza (70 indagati, 18 arresti) del mese di giugno. E ancora a Catanzaro, a maggio, e a Salerno, in ottobre; e poi i cento indagati in Ogliastra, e poi, e poi. In Italia, insomma, e nel periodo che volete. Ma nei fatti di Pavia secondo l’accusa ritorna, per quel pugno di sporco denaro, il sangue della vita uccisa, uccisa nel suo stadio più fragile, nella stagione dell’affidamento totale all’altrui vita e all’altrui cura; e la parola truffa non basta più a dilatare le fauci dell’inganno per inghiottire la vita. L’inganno che essa produce diventa immanente al gesto stesso di dare la morte, diviene un “darsi la morte” per chi lo fa e chi lo asseconda e se ne fa complice. C’è qualcosa che non è più umano. Ci sono confini di malizia dove l’umanità si macchia; più oltre, ci sono confini di crudeltà dove l’umanità si rinnega.Così, ora l’emozione rimbalza fra le parole del delitto e le parole del dolore, pensando all’atroce contrappasso fra il guadagno cercato col sangue e la disumanizzazione come forma di morte che è stipendio del male. Tornare umani è cambiare cuore, questo solo si può invocare. Poi il pensiero ancora oscilla su quella parola “assicurazione” in cerca dei suoi sensi analogici, pallidi o infuocati, rispetto al bisogno umano di “essere sicuri”. Pallidi come le monete accantonate per sicurezza, o guardate per cupidigia; incandescenti quando la sicurezza sta dentro l’abbraccio umano fedele di chi ha cura di te, ha un po’ d’amore per te, o almeno un po’ di pietà.