Opinioni

Sud America. In Colombia torna il rischio della guerra

Gianni La Bella sabato 15 agosto 2020

La prima stretta di mano, il 23 giugno 2016, tra Santos (a sinistra) e il leader delle Farc Timochenko

Con l’irruzione del Covid, il Sudamerica rischia di rivivere una storia già vista, quella di una nuova decada perdida, all’origine della peggiore recessione di un secolo ancor giovane, con effetti sociali ed economici devastanti. Una delle nazioni più colpite è la Colombia, un Paese cerniera tra l’America Settentrionale e quella Meridionale, motore propulsivo dell’area, cuore della stabilità geopolitica dell’America Latina. Nelle ultime settimane il clima politico e sociale si è drammaticamente deteriorato, con il riproporsi di scenari del passato, segnati da drammatici scontri sociali, da una incandescente polarizzazione e dal riaffacciarsi di quel demone antico della violenza diffusa che accompagna la sua vita dal giorno della sua indipendenza.

Le ragioni di questa crisi sono numerose. Il processo di implementazione degli Accordi di pace sottoscritti a Cartagena nel 2016 dal presidente Manuel Santos e dal comandante delle Farc, Timoleón Jiménez, in arte Timochenko, si è drammaticamente impantanato, per una serie complessa di ragioni che vanno dalle pastoie burocratiche- amministrative, alla mancanza di finanziamenti, alla ferma opposizione di gruppi politici e sociali, capeggiati dall’ex capo dello Stato Álvaro Uribe, da sempre acerrimo nemico del dialogo, ma soprattutto dalla non convinta volontà del governo di Iván Duque Márquez di adempierli fino in fondo. Una empasse invocata strumentalmente, che ha spinto due leader storici delle Farc, Iván Marquez e Jesus Santrich, a riprendere le armi, rimettendo insieme in poco più di un anno un nuovo esercito clandestino di più di tremila uomini. Grazie ai proventi della droga e ai ricavi della minería ilegal, le nuove narco-Farc si sono reinstallate in numerosi dipartimenti del Paese: Antioquia, Huila, Córdoba, Caquetá, Cesar, La Guajira, Arauca e Norte de Santander, dando vita a una sorta di “nuovo Stato parallelo”, imponendo la loro oppressiva presenza ai campesinos.

Anche il dialogo con la seconda storica guerriglia del paese, l’Eln (Ejercito de Liberación Nacional), si è bruscamente interrotto. Il presidente Duque ha condizionato la proposta avanzata dal movimento guerrigliero di trattare un cessate il fuoco di 90 giorni al fine di riaprire i colloqui di pace, fin quando l’Eln non darà segni tangibili della sua volontà di credere veramente nel processo di pace, rinunciando alla politica dei sequestri e agli attentati. Sul piano più squisitamente politico, i rapporti tra il governo e l’opposizione guidata dall’ex candidato presidenziale ed ex sindaco di Bogotá, Gustavo Petro Urrego, sono ormai prossimi alla rottura definitiva, a seguito, tra le altre cose, della recente indagine preliminare avviata dalla Procura generale volta a chiarire le circostanze generali che hanno favorito il successo del presidente nelle ultime elezioni.

Gli Accordi di pace sottoscritti a Cartagena nel novembre 2016 non hanno favorito quel cambio di mentalità sperato, né avviato un reale processo di pace e riconciliazione. A L’Avana – commentano unanimi e rassegnati numerosi politologi colombiani – si è firmata la smobilitazio- ne delle Farc e non la pace. Un nuovo clima di paura, rassegnazione, sfiducia e soprattutto insicurezza pubblica e privata sembra essersi nuovamente impadronito del Paese, resuscitando un clima di violenza, intolleranza e contrapposizione, che ha visto la morte in un silenzio generalizzato di più di 442 leader sociali, uccisi per aver difeso i loro diritti ed essersi opposti ai diktat dei nuovi gruppi criminali. Uno dei recenti frutti di questa nuova situazione incandescente e polarizzata sono gli attacchi indiscriminati contro la Comisión de la Verdad e il suo presidente, il gesuita Francisco De Roux, tesi a screditare e demolire l’autorevolezza e il carattere indipendente di questa istituzione, incaricata di far luce su quanto accaduto nella storia del Paese, assicurando verdad, justicia, reparación y no repetición (verità, giustizia, riparazione e non ripetizione).

La visita di papa Francesco in Colombia (6-11 settembre 2017) è stata una grande opportunità: la chiave che ha stimolato il Paese a compiere il primo passo verso la riconciliazione. Un evento religioso e popolare, in cui il Papa ha affrontato con una visione innovativa le questioni fondamentali che attraversano la vicenda colombiana: le relazioni tra storia e memoria, il rapporto tra riconciliazione e impunità, il valore di una giustizia non solo retributiva ma riparativa e riabilitativa, la frontiera della misericordia e del perdono come fondamento etico di un nuovo patto costituzionale. Francesco ha invitato i colombiani a voltare pagina e a vivere questa pace come l’inizio di una loro «nuova indipendenza » dallo scontro, dal rancore e dalla vendetta, ripudiando per sempre ogni forma di violenza.

Per uscire da questa deriva paralizzante in cui il Paese sembra essere precipitato è necessario un radicale cambio di passo, l’avvio di una nuova narrativa, che rifiuti di credere che il futuro debba essere uguale al passato. Per questo è necessario e urgente che tutte le componenti della società colombiana, i partiti, le forze sociali, i sindacati, i movimenti afro-indigenisti, la società civile diano vita a un nuovo “patto costituzionale”, capace di generare un “sussulto patrio” in grado di cambiare il corso della storia, liberando il Paese dal ricatto delle memorie contrapposte, affrontando con tenacia e creatività la sfida definitiva della pace e della riconciliazione. Un ruolo decisivo ha in questo quadro la Chiesa cattolica, che per la credibilità istituzionale di cui gode e l’influenza sociale che può esercitare ha una funzione determinante nell’aiutare una società divisa a ritrovare il sentiero del bene comune, evitando che la Colombia paghi un prezzo troppo alto a causa dell’ennesimo fallimento. Cercare ciò che unisce e non quel che divide, come ammoniva san Giovanni XXIII, è la regola d’oro che la Colombia deve riscoprire, ricreando un nuovo clima di fiducia e collaborazione in questo momento fortemente incrinato, nel quale tutti devono assumersi le proprie responsabilità ricordando che rispetto alla pace non si può essere neutrali e che senza questo bene condiviso tutto è perduto.