Opinioni

Il direttore risponde. La scuola e i codici da trasmettere

venerdì 6 maggio 2011
Caro direttore, le scriviamo solo ora in merito alle lettere e alle sue risposte su "I segni forti sul calendario servono" (26 marzo e 21 aprile) perché riteniamo doveroso "rafforzare" quanto espresso da Stefania e Luca Fraschetti nella ormai famosa prima lettera. Con i signori Fraschetti, infatti, condividiamo l’esperienza scolastica presso la materna comunale "Fratelli Bandiera" di Roma – dal momento che nostro figlio frequenta la stessa classe della loro bambina – e insieme abbiamo cominciato questo percorso teso esclusivamente a capire-comprendere le motivazioni dell’agire umano – inteso nel senso più generale possibile – senza dar vita a scontri o polemiche di alcun tipo. Vorremmo precisare, ma non per farne un vanto, che non siamo stati spinti a intraprendere questa strada da una motivazione di ordine religioso, ma dalla preoccupazione che decisioni prese dalla scuola, importanti per la crescita dei bambini, non vengano condivise con i genitori e, oltretutto, a fronte della richiesta di motivazioni si ricevano solo ingiustificati attacchi. È stato, infatti, proprio questo a farci capire che, forse, c’era qualcosa che non andava nella decisione di abolire i lavoretti dei bambini! E, vorremmo sottolinearlo, non per un attaccamento materiale all’oggetto in sé, ma per ciò che essi rappresentano, per ciò che la famiglia rappresenta. Riteniamo che tale decisione, immotivata a tutt’oggi, abbia provocato per lo meno un senso di disagio per quei bambini, come il nostro ad esempio, che nel giorno della festa del papà non hanno potuto offrire un dono o recitare una poesia, a differenza del fratello (più piccolo tra l’altro) che invece lo aveva potuto fare. Sembrerà forse ai più una banalità ma, al contrario, riteniamo che determinare situazioni come queste sia una profonda ingiustizia per il bambino, cui non deve certo rimediare il genitore con la preparazione di una torta … è il principio in sé che non è corretto!Purtroppo, caro direttore, i dubbi sul percorso che stanno intraprendendo i nostri figli non ci lasciano tranquillli… Con mille perplessità e cercando di farci guidare dall’amore per i nostri bambini vogliamo continuare a porci domande nella speranza di trovare delle risposte che colmino il senso di vuoto che avvertiamo. Per questo, la ringraziamo per le sue considerazioni, aldilà di ogni credo religioso. Cari saluti

Francesca e Marcello Proromo

Grazie, gentili amici, per questa lettera e per la reciproca (e "laica") condivisione di riflessioni e preoccupazioni. L’augurio è che si riapra davanti a voi e ai vostri bambini una via percorribile all’insegna di quell’«alleanza educativa» tra scuola e famiglia che oggi è più che mai necessaria. Sono padre, ma sono anche figlio di insegnanti e io stesso sono stato – sia pur per poco tempo – insegnante mentre iniziavo la mia vita da giornalista. Ho sempre considerato lo stare in classe e il salire in cattedra (a ogni livello) un lavoro splendido, un prezioso e rispettoso mettersi a disposizione per far crescere persone e comunità, uno straordinario e coinvolgente cooperare per serbare memoria e arricchire saperi. Di questo c’è bisogno più che mai soprattutto in un’Italia che accoglie nuovi cittadini, figli di culture diverse. Questo Paese, la sua civiltà e i suoi tesori d’arte e di fede rischiano di diventare letteralmente "incomprensibili" se non trasmettiamo ai piccoli i codici per interpretarli. E il nostro calendario, coi suoi italianissimi 'segni forti' cristiani e laici, è uno dei codici essenziali.