Opinioni

Malinconico priamato euroeo. Vogliamo reagire. Coca, il cancro di Milano

Giuseppe Anzani sabato 31 gennaio 2009
Lo sapevamo, o almeno ne avevamo un sospetto così forte da rasentare la certezza. E adesso è arrivata la prova scientifica. Lo sapevamo, quando le forze dell’ordine sequestravano droga a quintali per volta, nell’hinterland milanese; o quando, come nei giorni scorsi, trenta spacciatori in un sol colpo finivano in carcere (e fra loro un assistente di polizia penitenziaria che in carcere la droga ce la portava). Ora però abbiamo la prova scientifica che a Milano il consumo di droga si diffonde come un contagio, la cocaina soprattutto, la micidiale polvere bianca. La prova è sulle pagine della 'Environmental Health Perspective' degli Stati Uniti, che pubblica una ricerca internazionale, ideata da ricercatori italiani dell’Istituto Mario Negri di Milano. Analizzando le acque di scarico di grandi agglomerati urbani, dove finiscono con i liquidi organici anche le tracce residue delle droghe assunte, si riesce a stimare il consumo globale di droga di grandi comunità umane. A confronto Londra, Lugano, Milano: per noi è un allarme da primato. Lugano è a quota 6,2 dosi al giorno per mille abitanti, Londra a 6,9, Milano stacca tutti a quota 9,1. Più di nove dosi di coca ogni mille abitanti, ogni giorno, lunedì compreso. Fate il conto. No, non il conto di quanta droga, e quanto spaccio, e quanto denaro, e quanto crimine, e quanta legge e quanto carcere, e tutti gli altri quanti di questa infame ingiustizia gestita da mafie disumane. No, fate solo il conto della gente, di quanta gente; il conto di noi, di quanti di noi. Il conto ci chiede di capire che cosa la cocaina promette nella sua seduzione, e che cosa la cocaina realizza nella sua ritorsione. Dicono che dà euforia, che amplifica le capacità recettive, che riduce il senso di fatica, che annulla la fame e il bisogno di sonno, che dà un senso di potenza, anzi di onnipotenza. È la magia, è la versione chimica della fiaba di Aladino. Dicono così, ma dicono anche che dura mezz’ora e poi si ripiomba. E gli effetti sono depressione, ansia, insonnia, disturbi psichici. E poi, tremendo e precoce, lo scivolo della dipendenza. Con la dipendenza, il circuito si avvita; viene distrutto il sistema immunitario, e paranoie e psicosi sono tragedie peggiori del buco al setto nasale che le accompagna. L’immagine di questa schiera di 'noi', che in Italia e in specie a Milano vi si incammina, ci dà grande sofferenza. Perché è un segnale di sconfitta. Si tratta anche, ormai, di giovani o giovanissimi (tre all’Ospedale San Carlo in fin di vita a capodanno). Si tratta anche, ormai, di anziani 'over 60'. Gli uni, forse, in fuga dalla realtà e dalla speranza, dentro la grande paura del futuro; gli altri, forse, in rivalsa illusoria ai disincanti della vita. Ma poi, costantemente, si tratta infine di gente – di noi – senza differenza di età, senza distinzione di mestiere, di condizione sociale. Irriconoscibile, la polvere bianca contamina le relazioni umane senza preavviso, lacera la rete dei nostri vissuti, manipola i rapporti. Se un professionista si droga, chi si affida a lui si affida a un drogato. Che questo possa diventare casuale (o banale) è follia. Reagire è possibile, non per voglia di colpire, ma di costruire. La coca è il cancro della città, la coca non aiuta a vivere, ma a morire. E Milano 'cuore in mano', allora, dov’è finita? Se le frontiere della fatica di vivere, come quelle della speranza e della gioia, hanno territorio nello spirito e nell’amore, il cuore e la fede possono farcela a ricostruire le ragioni della vita. Basta, Milano, liberati; caccia le droghe nel ricordo arcaico delle acque fognarie.