Opinioni

Le responsabilità del mondo più sviluppato. Clima e giustizia nell'era del Plutocene

Marco Morosini* sabato 12 dicembre 2015
La sperequazione climatica, non il clima, è in discussione nelle trattative – giunte ormai alla fase conclusiva – della Cop21 a Parigi: 70 milioni di abitanti del pianeta emettono 100 tonnellate di gas climalteranti a testa, tanti quanti ne producono i 3 miliardi di esseri umani più poveri e più colpiti dal dissesto climatico. Giusto o non giusto, abbiamo accettato da un paio di secoli il crescere della sperequazione del denaro, cioè il motore del capitalismo. La 'contropartita' è stata un’esplosione della durata media – sottolineo media – della vita umana, del numero di esseri umani, della prosperità materiale di una parte dell’umanità, dell’uso di energia pro capite e, con esso, delle emissioni di gas climalteranti. La questione non è se la sperequazione economica funziona come 'la madre di tutti i cambiamenti'. Perché funziona, eccome. La questione è se le leggi della biosfera ci permettono di mantenerla. Infatti, se i bit nella memoria dei computer bancari dicono che il mio capitale finanziario è passato da 1 a 100 milioni, cambiano le mie relazioni di potere con gli uomini, le cui regole sono arbitrarie e negoziabili, ma non cambia nulla nella biosfera. Se però passano da 1 a 100 le mie emissioni di gas climalteranti, cambia invece la mia relazione materiale con la biosfera, le cui leggi non sono negoziabili.Il dissesto climatico è la punta dell’iceberg tra gli effetti delle due rivoluzioni permanenti che stanno cambiando 'la faccia della Terra': quella industriale e quella capitalistica. Queste infatti hanno causato in un baleno l’esplosione di altri innumerevoli interventi umani, che sorprendono non solo per novità ed estraneità alla biosfera, ma soprattutto per la loro diffusione planetaria: riempiamo gli oceani di miliardi di tonnellate di microframmenti delle plastiche e delle fibre tessili sintetiche che usiamo e buttiamo ogni giorno; disseminiamo la stratosfera di decine di migliaia di satelliti usa-egetta. Non basterebbe questo articolo a enumerare altri sfregi planetari del genere. 'Che bei tempi, quando il dissesto climatico sembrava il problema maggiore', potrebbero dover dire i nostri nipoti sgomenti. Per risolvere la 'questione climatica', infatti, abbiamo a disposizione da molti anni le tecnologie. Ciò che manca è la prevalenza del bene comune sul bene privato.Ma come cancellare i nostri sfregi permanenti ad atmosfera, stratosfera, oceani, acque sotterranee, suoli e sottosuoli? E soprattutto come cancellare i nostri sfregi a quell’incanto di equilibrio e convivenza di miliardi di specie di esseri viventi nella cui storia naturale noi siamo tra gli ultimi arrivati? Come togliere per esempio dall’atmosfera il nostro tetrafluorometano (CF4), il 'gas di teflon' quasi indistruttibile, che vi permane migliaia di anni, con un potere climalterante migliaia di volte maggiore di quello della CO2? E chi pensa a questo quando usiamo una comoda padella antiaderente? Secondo il premio Nobel Paul Crutzen, il giusto nome della nostra era sarebbe Antropocene: l’era nella quale gli antropoi diventano una determinante forza bio-geologica planetaria. Ma quali sfregi planetari causano i milioni di esseri umani che vivono di quel poco di terreno, alimenti e acqua disponibili nel raggio di un’ora di cammino? Che quota di responsabilità ha quella metà dell’umanità che emette 2 tonnellate di gas climalteranti pro capite, mentre chi decide il futuro ne emette 100? L’attuale sperequazione di emissioni è solo la fotografia istantanea della 'questione climatica'.L’altra metà della storia comincia due secoli fa, quando non gli antropoi, bensì solo noi europei ponemmo fine a una civiltà plurimillenaria basata sul 100% di energie rinnovabili, e iniziammo la breve era delle energie fossili. Ora esse sono ormai usate in tutto il mondo, ma nei primi 150 anni delle rivoluzioni industriale e capitalistica di esse beneficiarono quasi solo i Paesi più ricchi, che fondarono su questo carburante la loro strabiliante ascesa e il loro dominio – anche quello coloniale – sul resto del mondo. È a causa di questa sperequazione di emissioni nel tempo – oltre che nello spazio – che economisti insigni come Eric Neumayer, della London School of Economics, propugnano il computo delle emissioni storiche cumulate in circa due secoli come base per assegnare le quote di responsabilità del dissesto climatico, e i differenti oneri per porvi rimedio. I Paesi più poveri sposano questa proposta, quelli più ricchi la avversano. La drammatica emergenza climatica induce a riflettere sull’accelerazione dei due fenomeni che – lo ripetiamo – stanno cambiando 'la faccia della Terra': il genio tecnico e il genio finanziario. Senza il secondo, il primo sarebbe rimasto probabilmente una realtà marginale (la 'prima macchina a vapore' fu inventata nell’antica Grecia per aprire le porte di un tempio). Il dramma del genio finanziario è la sua efficacia. Niente più di esso ha cambiato il mondo in così poco tempo. Per questo dovremmo chiamare la nostra epoca Plutocene (l’era della ricchezza), non Antropocene. L’emergenza climatica e quella ecologica potrebbero davvero portare a una 'fine della storia'. Tuttavia di segno opposto a quella di chi con questa espressione prevedeva il trionfo definitivo di questo capitalismo.*Climate Policy Group, Politecnico federale di Zurigo