Opinioni

Il direttore risponde. L'errore di Ciarrapico, quelli di Fini

venerdì 1 ottobre 2010
Caro direttore,provocano indignazione, ma non dovrebbero suscitare alcuna meraviglia, le indecenti parole di stampo anti-semita pronunciate ieri al Senato da Giuseppe Ciarrapico per attaccare Gianfranco Fini. Meraviglia, invece, che si uniscano al sacrosanto coro di condanna esponenti finiani dell’ex An: sono degli ipocriti perché in Alleanza nazionale tirava una bruttissima aria anti-semita, ma loro all’epoca facevano finta di nulla. Valga la mia esperienza. Come è forse noto, porta la mia firma il documento di condanna dell’antisemitismo e delle leggi razziali approvato al congresso di Fiuggi, il 27 gennaio 1995. Quel documento diede credibilità (anche internazionale) alla «svolta»: scomparvero ufficialmente gli anti-semiti dal partito erede del fascismo e della Repubblica di Salò, ma da allora in An gli anti-Palmesano crebbero a dismisura. Tant’è che di lì a poco, politicamente parlando, l’«ebreo Palmesano» è stato ammazzato.I fatti: Da uomo di destra – e, allora, da capo del servizio politico del "Secolo d’Italia" – speravo che nelle ponderose tesi congressuali preparate dal pensatoio finiano vi fosse un riferimento alla condanna dell’anti-semitismo. Quando mi resi conto che così non era, scrissi le undici righe che sarebbero diventate l’ «emendamento Palmesano». Eccone il testo: «Condanna esplicita, definitiva e senza appello, Alleanza nazionale formula verso ogni forma di anti-semitismo e di anti-ebraismo, anche qualora siano camuffati con la patina propagandistica dell’anti-sionismo e della polemica anti-israeliana. Sia altresì bandito ogni pregiudizio che è l’anticamera dell’intolleranza anti-semita e che è stato il terreno di coltura, attraverso i secoli, dei pogrom e della Shoah. An si riconosce in pieno nella Dichiarazione del Concilio Vaticano II "Nostra Aetate" e nelle prese di posizione di Giovanni Paolo II nei confronti degli ebrei, nostri "fratelli maggiori". La vergogna incommensurabile delle leggi razziali brucerà per sempre nella nostra coscienza di uomini e di italiani». Una bomba, anche se inizialmente nel partito si fece finta di nulla. Ma la notizia arrivò ai giornali, e nella sede di via della Scrofa cominciarono ad arrivare telefonate da mezzo mondo. E Fini, per realpolitik, lo accettò. Solo che quando, appena dopo il congresso, furono pubblicate le tesi congressuali emendate, il mio documento apparve monco. Mancavano le ultime due righe: «La vergogna incommensurabile delle leggi razziali brucerà per sempre nella nostra coscienza di uomini e di italiani». Per tutto questo, nonostante le scampagnate di Fini a Gerusalemme, continuo a non fidarmi dell’ex capo di An e dei suoi seguaci.

Enzo Palmesanoex componente dell'assemblea nazionale di An

L’unico passato che non passa è quello con cui non si fanno i conti, caro Palmesano. E chi non riesce a fare davvero i conti col passato (un esercizio che comporta uno speciale ed esigentissimo esame di coscienza "comunitario" oltre che il dovere di ragionare senza reticenze su fatti e misfatti) incorre, di solito, in due errori principali: usa parole e idee con stolta leggerezza (e gli errori ridiventano orrori), oppure si affanna per tentare di rimuovere parole e idee scomode nell’illusione (in genere vana, comunque indegna) di nasconderle anche agli altri. Ciarrapico, oggi senatore della Repubblica, ha con certezza e impudenza compiuto il primo tipo di errore. Fini e i suoi ne commisero senza dubbio, subito dopo la svolta di Fiuggi, uno del secondo tipo: quello che lei – con ragioni che spiega assai bene – ancora oggi non perdona loro. Io, invece, credo che per l’uomo di destra Fini la presa di distanza dall’anti-semitismo (comunque travestito) sia ormai un impegno maturo e non un problema irrisolto o una tattica opportunistica. Gli errori, caro Palmesano, si possono ben correggere. Spero, però, che oltre a quelli remoti l’attuale presidente della Camera sappia riparare anche i più recenti. Quelli, tanto per esser chiari, in tema bioetico: a cominciare dalla questione dello sfavore finiano a una seria legge sul «fine vita», davvero umana e rispettosa della debolezza e non prona all’idea dell’«utilità» di un’esistenza. Anche fare i conti col futuro è un esercizio esigente. E comunque non è mai troppo presto per accorgersi delle storiche cantonate che si è stati indotti a prendere.