Opinioni

Ciò per cui noi siamo fatti. L’umanesimo sorridente di Mattarella

Francesco Ognibene sabato 21 dicembre 2019

Cosa fa di un Paese una comunità nazionale? Cosa rende un’entità geopolitica e demografica qualcosa di più grande e più profondo del semplice radicamento su un territorio di un gruppo eterogeneo di cittadini, oltre il denominatore di lingua, storia, leggi, istituzioni? Quanto più si fanno sottilmente corrosivi i fattori di logoramento delle ragioni che tengono coesa una collettività, per l’azione combinata di derive storiche e motivi contingenti, tanto più appare necessario fermarsi, appena la cronaca ne offre l’occasione. E tentare una verifica di cosa tiene ancora uniti gli italiani, mentre la scena pubblica ci offre lo spettacolo frequente di un diffuso dilaniamento reciproco, quasi si fosse risvegliato il demone di un rancore sinora sopito che solo in tempi relativamente recenti ha trovato il terreno sociale, politico e mediatico adatto per sortire i suoi effetti nefasti. Ma è proprio così?

Il Censis ha appena offerto il ritratto preoccupato di un diffuso clima caliginoso e tellurico parlando di italiani affetti dal virus dell’«incertezza» e di «società ansiosa di massa», che «ricorre a stratagemmi individuali per difendersi dalla scomparsa del futuro», una sorgente che si andrebbe prosciugando mentre la si credeva inesauribile. Una fotografia alla quale il presidente Mattarella affianca – com’è ormai annuale tradizione – 32 ritratti di nostri concittadini che quest’anno «si sono distinti per atti di eroismo, per l’impegno nella solidarietà, nel soccorso, nella cooperazione internazionale, nella tutela dei minori, nella promozione della cultura e della legalità, per le attività in favore della coesione sociale, dell’integrazione, della ricerca e della tutela dell’ambiente».

Annunciando il conferimento di altrettante onorificenze al merito della Repubblica, il capo dello Stato continua ogni anno a opporre alla greve zavorra della discordia e della sfiducia il contrappeso emotivo e culturale di alcuni «esempi», scelti in mezzo ai «tanti presenti nella società civile e nelle istituzioni», un drappello di «casi significativi di impegno civile, dedizione al bene comune e testimonianza dei valori repubblicani».

La comunicazione del Colle parla di commendatori e cavalieri e, davanti alla lista di encomi ufficiali, il pensare per pigre convenzioni potrebbe indurre a credere che si tratti di scontate decorazioni per qualche bel gesto, formalità nobili ma prive di vera efficacia sulla preoccupante realtà che attraversiamo ogni giorno. Eppure proprio non riusciamo a scorgere ombra di retorica nelle medaglie apposte sul petto di giovani e pensionati, professionisti e madri di famiglia, e poi sportivi, volontari, cooperanti, con una suora e un sacerdote.

Dentro quella lista vediamo in atto come una rivoluzione dello sguardo sul Paese, nel quale siamo invitati a riconoscere all’opera ancora ben altro rispetto alla disillusione e al disimpegno che pure bussano insistentemente alla nostra vita. Dentro quelle biografie, nella loro stessa normalità feriale che tutti condividiamo, assordata dal grido sguaiato di polemiche, sospetti e scandali, è all’opera un bene limpido e creativo che rigetta senza compromessi la tentazione dello scetticismo come un corpo estraneo.

La vita dei 32 italiani 'non illustri', i cui nomi quasi sempre mai uditi vengono sciorinati dal Quirinale estraendoli da un anonimato che non sembrava ambire tappeti rossi, mostra la fibra resistente di un popolo che si sa capace di altruismi abituali oppure improvvisi ed estremi, di uno stile di vita e di un’etica delle relazioni che non vengono meno.

Un umanesimo forte e sorridente, che rimette al mondo la speranza al solo vederlo. Se contempliamo con attenzione questo campione di italiani 'per il bene' certamente troviamo qualcosa di noi stessi, ciò che desideriamo possibile e che ci rende lieti quando lo scorgiamo realizzato, anche solo nella notizia di quello che chiamano atto di eroismo e, invece, era solo l’affiorare della nostra natura più intima e vera, di ciò per cui siamo fatti: saper riconoscere il volto del prossimo e darci al suo servizio, per un giorno o una vita, se occorre senza risparmio, di certo senza calcolo.

Rischiamo di dimenticarcelo, cedendo alla facile lusinga di ansie e incertezze. E forse per questo sentiamo franare il futuro sotto i nostri piedi, come se qualcuno ce lo stesse portando via, come se non ci spettasse più. Ma i 32 variegatissimi «esempi» di quotidianità a colori offerti con finezza da Sergio Mattarella ci ricordano che per riprendercelo c’è un solo modo: osservare con calma quella foto di gruppo e cercare, da qualche parte, anche il nostro volto. Perché c’è.