Opinioni

Due bulli, il tribunale dei minori di Mestre, la vera laicità. Ciò che una sentenza può far capire

Giuseppe Dalla Torre martedì 22 febbraio 2011
Ha sor-preso e suscitato critiche la decisione del Tribunale dei minori di Mestre, che ha condannato due "bulli" di 15 e 16 anni, accusati di rapina e di estorsione, ad una serie di adempimenti tra cui andare a Messa tutte le domeniche. Le critiche sono comprensibili, perché la libertà religiosa, che tra i suoi contenuti comprende anche la libertà di culto, è un diritto fondamentale che comporta la immunità da coercizioni esterne in materia di coscienza, a cominciare da parte di poteri dello Stato.Anche se nel caso specifico occorrerebbe valutare, cosa che non è dato conoscere, il contesto personale e familiare in rapporto al quale il provvedimento giudiziario è stato adottato. In particolare, sarebbe interessante sapere se nella decisione del giudice sia in qualche modo stata presa in considerazione l’eventuale rivendicazione, da parte dei genitori dei due minori, delle proprie responsabilità in materia educativa, che sono riconosciute e garantite come un diritto-dovere dall’articolo 30 della Costituzione e che non possono non attenere, quanto a orientamento della funzione parentale, anche alla dimensione religiosa. Cioè sarebbe interessante sapere se e come ci si sia posto il problema del bilanciamento tra il diritto di libertà religiosa di due "grandi minori" e le responsabilità educative che ancora gravano, trattandosi pur sempre di minori, sui genitori. Più sorprendente è la sorpresa, nella misura in cui essa è stata suscitata per il semplice fatto che il giudice minorile abbia ritenuto – seppure in maniera impropria – di affidare le speranze di una rieducazione dei due minori delinquenti alla religione oltre che, come si legge nel provvedimento, nell’impegno nel volontariato e nell’ottenere buoni voti a scuola. Sembrerebbe cioè che mentre le istituzioni di volontariato e le istituzioni scolastiche sono ritenuti luoghi idonei per svolgere un’azione tesa all’emenda ed alla rieducazione, tali non sarebbero le istituzioni religiose. Se così fosse, si tratterebbe di un pregiudizio sotto il quale, a parte le solite frange ideologiche di un laicismo nostalgico di furori ottocenteschi, c’è il ricorrente equivoco della laicità, che è attributo dello Stato come persona e apparato, ma non dello Stato come comunità. La laicità impedisce allo Stato di imporre una religione, o una visione irreligiosa della vita (e da questo punto di vista l’obbligo di andare a Messa è illegittimo); ma la laicità non impedisce, anzi, allo Stato di favorire il fenomeno religioso che è presente nel corpo sociale, nello Stato comunità appunto, anche per la sua funzione educativa a valori etici che favoriscono la pacifica convivenza e il bene comune. In realtà la decisione del Tribunale dei minori di Mestre, al di là dei suoi concreti contenuti, manifesta proprio questa attitudine "laica" dello Stato verso la società. Più ancora: esprime, in qualche modo, la percezione che nella generale crisi delle tradizionali agenzie educative, le istituzioni cattoliche continuano a essere una delle poche presenze affidabili per la formazione delle più giovani generazioni a quei grandi valori morali, di cui la società ha estremamente bisogno. Perché c’è poco da fare: le stesse norme del codice penale, più in generale la legge dello Stato, trovano il più sicuro fondamento del loro rispetto non nel timore della sanzione, ma nella coscienza etica dei consociati.