Opinioni

Lo sguardo oltre la mascherina. Chi ci dà protezione, custodisce l'umanità

Pierangelo Sequeri sabato 11 aprile 2020

L’orizzonte, fin dove arriva lo sguardo, è vuoto al momento: la linea del sole è pallidissima. In compenso, la luna, in questa notte di passione, aveva le batterie cariche e lo sguardo spalancato: intenso, caldo, avvolgente, straordinariamente determinato a darci tutta la luce che poteva. Forse se lo sentiva, la luna, che il nostro Sabato Santo, questa volta, durerà un po’ più di tre giorni.

Il papa Francesco, nell’Angelus del 22 marzo, ha citato l’immagine del “mysterium lunae”, così caro ai primi Padri del cristianesimo: il mistero della luna è l’analogia della mediazione della luce di Dio, che arriva attraverso i testimoni, i credenti, la Chiesa tutta. La Chiesa non vive di luce propria (e quando ci prova, finisce nel fosso). La Chiesa assorbe la luce del Signore e illumina l’attesa della sua venuta. La mediazione della fede è un ministero umile e prezioso, come quello della luna: ti mostra la strada anche nell’oscurità, accenda una luce amica anche nella solitudine. La metafora della luna è l’immagine della protezione che ci viene offerta nei nostri inevitabili passaggi al buio, in attesa che il sole torni a riscaldare la vita. Intanto che la ragione avanza per illuminare la terra, dalla nostra mascherina lanciamo uno sguardo tenero e struggente per tutte le creaturine della luna che cercano di alleggerire – e persino di allietare, se possibile – la nostra oscurità con ogni possibile forma di cura, di protezione, di vicinanza, di consolazione. Nel mezzo del guado, con l’orizzonte ancora vuoto, è giusto chiederci: come possiamo fare per proteggere, a nostra volta, chi ci protegge? (Non dico quelli che si trasformano in attori e presentatori del coronavirus show). E non parlo solo della protezione, diciamo così, strumentale (della quale, a quest’ora, non dovremmo neppure più sentir discutere, ahimé). Parlo della protezione che si consolida in termini di credito morale e di riconoscimento istituzionale. Non vi piace la formula degli “eroi”, perché “un Paese che ha bisogno di eroi, bla bla”? Va bene. Ma non parlate nemmeno di gente “che fa semplicemente il lavoro per cui è pagata”. Non avviliamoci da soli. Quelli che fanno semplicemente il lavoro per cui sono pagati, nell’ambito del bene comune e delle emergenze spirituali di una convivenza umana, in realtà non lo fanno. Osservano i protocolli (quando li osservano), eseguono le procedure (quando le eseguono). No, quelli che realmente ci proteggono sono esperti affidabili, che non cessano di rimanere umani (risorsa non scontata). Lo Stato – la Società, la Comunità – che verrà “dopo”, daccordo, non dovrà fare monumenti agli eroi (però dovrà anche pagare meglio quelli che ci proteggono). Ma poveri noi, se il manager collettivo e lo scienziato unico si limiteranno a uno stoccaggio di maggiori risorse. Una nuova società umana sarà una comunità devota al bene comune o non sarà. Semplicemente.

Il Sabato Santo, a rigore, è nato come un giorno dell’attesa nel quale i discepoli non si attendevano niente. Le donne sono arrivate per prime a sentire che era successo qualcosa di inaspettato, che avrebbe cambiato la vita (e la morte). E avevano ragione. Meno male che i discepoli non le hanno ignorate. Poi hanno incontrato il Crocifisso Risorto e hanno compreso che potevano e dovevano diventare presidio di speranza, anche nel buio più fitto della perdutezza umana. La Chiesa deve essere questo. Per il resto, non vogliamo mica la luna. Chiediamo rispetto per gli uomini e le donne che (mossi dallo Spirito, ne siamo certi) si consumano per non lasciarci senza vicinanza e senza speranza, fino a che non si riapra l’orizzonte.