Opinioni

Ferocia "taleban", colpevoli distrazioni. Che finisca l'indifferenza

Luigi Geninazzi sabato 16 aprile 2011
Assomiglia a una spietata esecuzione che i ter­roristi solitamente riservano ai 'nemici del po­polo' la morte violenta del cooperante italiano, se­questrato e ucciso a Gaza nel giro di poche ore. Ma Vittorio Arrigoni, che da tre anni aveva scelto di vi­vere nella Striscia di terra più isolata del mondo, e­ra noto come un amico del popolo palestinese di cui aveva preso le difese come 'scudo umano' in più occasioni. Ferito, arrestato e incarcerato dall’eser­cito israeliano, aveva rischiato la vita restando a Ga­za sotto i bombardamenti di 'Piombo fuso', l’of­fensiva militare lanciata dal governo di Gerusalem­me nel dicembre 2008. Da quel fronte gli poteva giungere il pericolo, non certo tra le vie polverose di una città che considerava ormai come casa sua. Di fronte alla sua morte il dolore e l’orrore s’ag­giungono allo sgomento per un crimine tanto più odioso quanto più apparentemente inspiegabile e assurdo. Arrigoni è stato rapito e ucciso da un com­mando ultra-fondamentalista che si oppone ad Ha­mas, il movimento islamico radicale che controlla la Striscia di Gaza. Ma non si tratta semplicemente di una faida tra gruppi estremisti. C’è qualcosa di più terribile e oscuro che ha a che fare con l’odio e il fa­natismo violento, sentimenti sempre più diffusi a Gaza da quattro anni sottoposta al duro embargo d’Israele, schiacciata dal regime autoritario e cor­rotto di Hamas, di fatto ignorata e abbandonata dal­la comunità internazionale. In questo buco nero di miseria e disperazione i confini tra bene e male, tra amico e nemico, sono purtroppo diventati sempre più labili e confusi. Solo così si spiega il paradosso di un attivista, sinceramente e generosamente im­pegnato a sostenere la causa palestinese, accusato di diffondere «i vizi occidentali». Da quando nel giugno del 2007 Hamas ha preso il potere, nella Striscia di Gaza è proibita la vendita di alcolici, le donne girano tutte rigorosamente col ve­lo e gli 'shahid', i ragazzi-kamikaze, sono venerati come martiri dell’islam. Ma l’integralismo di regi­me suscita ogni giorno nuovi e terribili concorren­ti. Jihadisti delusi dalle caute aperture a Israele di Ha­mas e salafiti desiderosi d’imporre ancora più se­veramente la sharia, la legge coranica, e d’instaura­re un Califfato islamico, raccolgono sempre più con­sensi. Le autorità di Hamas minimizzano, parlano di pochi «criminali fuorilegge» e negano l’esistenza di seguaci di al-Qaeda nella Striscia di Gaza. Ma per i servizi segreti israeliani (spettatori non certo di­sinteressati), gli islamisti ultra-radicali sarebbero centinaia. E per l’Autorità palestinese addirittura migliaia. Sono loro che poco tempo fa hanno incendiato u­na scuola dell’Onu, ritenuta blasfema perché non separava i maschietti dalle femminucce. Negli ulti­mi mesi hanno distrutto vari Internet-café e nume­rosi locali sospettati di vendere alcolici sottobanco. Nel mirino sono finiti anche i cristiani residenti a Ga­za dove un pastore protestante è stato ucciso e una scuola cattolica, gestita dalle Piccole Sorelle, ha subì­to un attentato dinamitardo. E adesso, con il barbaro omicidio di un cooperante italiano, hanno deciso d’alzare il tiro inviando un macabro segnale a tutti gli occidentali. Proprio mentre in tanti Paesi arabi si sta diffonden­do la primavera della libertà, nella Striscia il mal­contento assume connotati taleban. E chissà se l’e­stremo sacrificio di Vittorio Arrigoni servirà a risve­gliarci dalla lunga, colpevole indifferenza di fronte al dramma di Gaza, sempre più ostaggio della vio­lenza e del terrore.