Opinioni

Tra unioni civili e chirurgia estetica. Che cosa intendiamo per progresso?

di Elisa Manna venerdì 10 giugno 2016
«Non si può fermare il progresso! Non si può fermare il progresso!». Così qualche giorno fa gorgheggiava alla radio una nota ex giudice, nell’entusiasmo della fresca approvazione della legge sulle unioni civili. Confesso che, ascoltandola in macchina, ho provato una punta di delusione: davvero mi aspettavo un livello di argomentazione più alto, ma, tant’è, forse la foga di sintetizzare il suo pensiero nei ritmi veloci dei media, le aveva fatto tirar fuori quel vecchio cliché: il progresso che non può essere fermato. L’occasione è utile, però, per riflettere sul mito del progresso, che credevamo definitivamente accantonato già dal secolo scorso, quando proprio i miti del Progresso e delle sue figlie Potenza e Velocità erano deflagrati in sciagura per l’umanità. Ma invece no, evidentemente sta tornando a far capolino quella fiducia (un po’ infantile, vogliamo dirlo?) nelle «magnifiche sorti e progressive» del pensiero scientifico e tecnologico, che dovrebbe risolvere tutti i nostri problemi e rispondere a tutte le nostre domande, guida adamantina e sicura per un’umanità disorientata e orfana di ideologie. Eppure, chi si avventurasse a sfogliare un buon testo di filosofia della scienza (ma chi ha più il tempo per questo tipo di letture oggi?) scoprirebbe fin dalle prime pagine che la Scienza non è una dea sapiente, una luce superiore, cristallina e incorruttibile come acqua di sorgente. Il progresso scientifico e tecnologico è diventato nella nostra epoca l’ultimo totem indiscutibile e infallibile (segno che l’uomo ha bisogno di credere in un principio superiore indiscutibile e lo riafferma anche quando li nega tutti), ma certi suoi seguaci vogliono chiudere gli occhi davanti a una verità oggettiva, e cioè che anche la scienza e la tecnologia sono in qualche modo condizionate, non fosse altro perché per andare avanti hanno bisogno di finanziamenti. La Scienza è una signora molto pragmatica, bisogna pagare gli stipendi ai ricercatori, bisogna pagare gli strumenti, dunque tanto vale orientare la ricerca nei settori mainstream o comunque quelli dove è più facile trovare consenso e concreto appoggio. È così, per esempio, che si spiega la difficoltà a far progredire la ricerca nel campo delle malattie rare (sono rare, interessano poche persone, poco mercato…). Perché oggi la ricerca si occupa tanto di fecondazione in vitro, in tutte le declinazioni possibili? Perché oggi siamo dominati dall’ideologia del desiderio e un bambino, un figlio che possiamo sentire nostro (desiderio legittimo, per carità) diventa una sfida promettente e un mercato interessante per troppi professionisti (ricercatori, medici, proprietari di cliniche...). E su altri fronti, come la medicina estetica, meno importanti ma sempre connessi all’ideologia del desiderio, avviene la stessa cosa: perché la ricerca nella medicina e nella chirurgia estetica fa così tanti progressi, sono a far sembrare le vecchie creme di bellezza delle nostre mamme impiastri del III secolo a.C.? Perché il desiderio di giovinezza, di restare per sempre giovani e belli sta raggiungendo livelli deliranti, è uno dei valori cardine della cultura dominante. E perché la medicina e la chirurgia ricostruttiva mettono a punto sempre nuove tecniche di 'trasformazione' delle caratteristiche sessuali primarie e secondarie? Perché l’identità sessuale e la vita sessuale a essa connessa è uno dei desideri più impellenti. Se il desiderio non fosse tanto idolatrato, se non fosse il signore delle nostre vite, se la nostra cultura fosse basata su un’accettazione più sapiente del flusso della vita, forse scienziati e tecnocrati oggi impegnati su questi fronti si orienterebbero su altri campi.  Dunque invocare il progresso scientifico come se fosse il Supremo Bene è, mi si perdoni la sfumatura saccente, una forma di ingenuità culturale, oppure una furbata o, se preferite, un grosso abbaglio. E infatti di questo presunto progresso scientifico si vedono già i frutti degeneri: donne in condizioni di povertà che, come ha denunciato il cardinal Bagnasco all’Assemblea generale della Cei, vengono risucchiate nella penosa piaga dell’utero in affitto, con tariffari, contratti arcigni e umilianti che aggirano il divieto di commerciare in gameti e via discorrendo. Il modello di progresso in cui siamo immersi non sembra aver portato grossi frutti: crisi economica mondiale, disoccupazione crescente, conflitti e guerre 'a pezzetti' (fortemente influenzate dall’accaparramento delle risorse energetiche ), corruzione, deterioramento climatico, sbandamento etico e valoriale diffuso. Riflettiamo su quest’idea di progresso invece di brandirlo come l’ultima bandiera; iniziamo a farlo guardando negli occhi i nostri giovani e, insieme, guardando «avanti e in alto» come ci invita a fare papa Francesco: troveremo le risposte.