Opinioni

Non c'è la sindrome del maso chiuso. Cattolici, quel «tronco inesausto» che genera testimoni

Carlo Cardia mercoledì 9 maggio 2012
Ernesto Galli della Loggia ha proposto, nei giorni scorsi, sul Corriere della Sera una analisi, e un giudizio severo, su Comunione e Liberazione, per estenderlo al cattolicesimo (e al cattolicesimo politico) italiano che, nel suo complesso, sarebbe ormai vittima della sindrome del "maso chiuso". Una sindrome caratterizzata da tendenze egemoniche e da una autosufficienza culturale che gli impedirebbe, essendo il voto cattolico «ridotto al dieci per cento dell’elettorato», di svolgere un ruolo fecondo, di primo piano, come in passato. Occorrerebbe, quindi, contrastare il declino e tornare in campo aperto come nell’epoca degasperiana, allearsi con altre forze politiche per contare, evitare il ghetto, l’insignificanza. Il tema è serio e, nella crisi che in Italia e in Europa sta incrinando equilibri politici consolidati, chiede qualche riflessione.Non entro nel merito del giudizio su Cl, se non per rilevare che il rapporto con la politica, la gestione di imprese sociali, pone tutti i movimenti, anche quelli che nascono su basi ideali limpide e generose, a rischio di contaminazioni e compromessi. Ma è ingiusto riferire ogni patologia (verificata o meno) a un movimento nel suo insieme, ignorando l’impegno religioso ed etico che viene profuso in Italia e nel mondo. Devo, invece, dire che il passaggio automatico attraverso il quale si arriva a parlare di un’involuzione del cattolicesimo politico nel suo complesso sembra davvero fuorviante. Lo è nel raffronto con l’epoca della Democrazia cristiana, nella quale l’unità politica dei cattolici operò come antidoto contro il pericolo del totalitarismo, senza mai esaurire in se stessa una presenza che era più ampia e multiforme. Lo è nell’esame della sua evoluzione, perché l’esperienza del partito cattolico si è esaurita per diverse cause, compreso il fatto di aver realizzato la sua ragione storica con la sconfitta del comunismo. Misurare oggi il voto cattolico è impresa ardua, lo sa ogni analista di flussi elettorali, ma il rapporto con la politica dopo il 1992-94 è cambiato: s’è fatto complesso, variegato, a tratti sfuggente. Una società plurale, non più a rischio della sua libertà, chiede una presenza cattolica diversa, capace di animare la politica, difendere valori essenziali contro pericoli più nascosti, insidiosi: quelli di una deriva individualista e di materialismo pratico, che Giovanni Paolo II già segnalava mentre incalzava il comunismo morente, come un tarlo capace di corrodere l’Occidente fin nella sua più intima identità.In questa metamorfosi delle nostre società, si è dispiegata l’evoluzione dell’impegno cattolico, con risultati che non possono dimenticarsi. La presenza plurale dei cattolici, dentro e fuori i partiti, è stata viva sui temi della vita, della famiglia, dell’etica, ha evitato all’Italia quel declino individualistico che con tanta superficialità (e qualche recente pentimento) ha segnato altri Paesi. Non tutti i politici cattolici sono stati all’altezza. Ma i risultati non sono mancati. E, come nel caso del referendum sulla procreazione assistita, o nell’impegno per la difesa della famiglia quale realtà naturale e centrale della società, non sono stati l’esito di una ingerenza ecclesiastica nella sfera politica, bensì il frutto dell’azione di chi ha interpretato, meglio di altri, sentimenti e convinzioni popolari profondi su questioni etiche (e politiche, se diventano leggi e costume) che riguardano il futuro della società. Infatti, hanno conquistato persone e gruppi di diversa formazione, che si riconoscono nel sentire comune, cristiano e umanista, proprio del nostro Paese. La Chiesa e i cattolici svolgono una funzione essenziale nel garantire la coesione sociale in questo tempo di crisi e di fronte a fenomeni epocali come quello dell’immigrazione, impedendo derive xenofobe, e lacerazioni sociali che altri Paesi europei conoscono.Dunque, il rapporto tra cattolicesimo e politica è più ampio rispetto alle ipotetiche scelte elettorali, ed è garanzia di tutela per coloro che sono più deboli, chi sta per nascere, chi soffre, chi è nelle fasi conclusive della vita, per ridare contenuti e fiducia nella politica quando questa è corrosa dai veleni di chi rifiuta tutto e tutti. È questa la scelta strategica di Benedetto XVI che pone i temi antropologici e della dottrina sociale della Chiesa al centro del magistero a favore dei nuovi e vecchi poveri, di un’economia solidale, libera da egoismi e speculazioni finanziarie devastanti. Le percentuali di adesione partitica quindi non esauriscono il dinamismo dei cattolici in politica, chiamati a testimoniare e vivere valori e principi che sono presupposto e alimento di una società giusta che aiuti e sostenga chi non ha voce e forza propria. E questa testimonianza deriva direttamente, secondo una bella espressione dello stesso Ernesto Galli della Loggia, «dal tronco inesausto della fede cristiana, alimentata e cresciuta per la speranza che continua a recare con sé».