Opinioni

Il killer. L'estremista di Strasburgo in cella: serve proprio un altro carcere

Ferdinando Camon sabato 15 dicembre 2018

Il killer di Strasburgo era solo, non faceva parte di una rete. Lo dice il ministro dell’Interno francese. Lo avevano già processato e condannato più volte, ma in prigione questi estremisti non si correggono, anzi diventano più estremisti. La prigione è il luogo e lo strumento che la Giustizia usa con lo scopo di convertire e riconciliare con la società i nemici della società, e invece diventa spesso il luogo e lo strumento con cui i nostri nemici diventano più nemici. Non ho visitato prigioni francesi, ma ho visitato prigioni italiane. Non sono fatte per migliorare il detenuto. Son fatte per "macerarlo".

Una cella per due detenuti ne contiene 6, una stanzetta per due brandine contiene due letti a castello, con 6 posti. Non separato ma dentro la stanzetta sta il water, esposto come un tronetto. Nella stanzetta non c’è niente da fare. Sicché se uno si siede sul water, gli altri cinque lo guardano. Gli islamici sono pudichi, e nelle loro cellette ho visto la lampadina che pende dal soffitto fasciata con tela juta, in modo che la luce nella stanza diventi penombra. È l’unico modo che hanno per creare un po’ di privacy. L’intimità è abolita, come tra animali. La condanna ad alcuni anni di carcere diventa la condanna ad alcuni anni di animalizzazione. Finita la condanna, quando il condannato è diventato un perfetto animale, lo rimettono fuori.

È redento? No, è de-socializzato. In carcere non ha imparato niente socialmente, civilmente, culturalmente, professionalmente. Il carcere non è un luogo di tortura, la tortura consiste nella non-vita. L’ozio e l’isolamento creano un altro mondo, giorno dopo giorno il carcerato perde il contatto col nostro mondo. In carcere non si sente rieducato ma abbrutito. In un giornale leggo che due islamici su tre si radicalizzano. È il loro modo di salvarsi. Radicalizzandosi, si difendono dall’oppressione che sentono in carcere, e si preparano a vendicarsi sulla società che crea le carceri. Sono colpevoli, ma si sentono in credito. In carcere si sentono impotenti, la radicalizzazione gli ridà potenza. In carcere si sentono impauriti. Radicalizzandosi entrano a far parte del mondo che impaurisce il nostro mondo. In prigione sei uno senza niente, radicalizzandoti sei uno con una fede.

Si guarda sempre se il radicalizzato che spara e uccide è disoccupato, se patisce la fame, lui o i suoi fratelli. Si cerca una spiegazione ai morti che lui semina nei torti che lui patisce. Sì, è importante. Quell’area di Strasburgo è ad alta disoccupazione, e quindi ad alta produzione di contestatori violenti.

Ma il radicalizzato si vendica anche dei torti che ritiene di aver già patito, le sparatorie che fa in giro per l’Europa hanno un movente retroattivo, nell’ozio autodistruttivo del carcere ha covato una furia che adesso sfoga. Dicono i giornali che la nostra salvezza sta nell’intelligence: scoprirli prima che facciano del male. Ma non li avevamo già sotto controllo? Non abbiamo le carceri piene di potenziali nemici? Se le nostre carceri, invece di correggerli, li peggiorano, non sono le carceri che dovremmo cambiare?