Opinioni

La «Settimana» di Reggio Calabria. C’è un’Italia esigente Stateci attenti

Marco Tarquinio martedì 19 ottobre 2010
C’è un Paese che non si perde lungo le derive del malvivere, del malaffare e della malapolitica, ma che neppure si ritrova nel sistematico e prevalente racconto mediatico della realtà italiana. È un Paese che i lettori di Avvenire conoscono bene: è quello che ci sforziamo di raccontare ogni volta che ne abbiamo l’occasione (e cercandole, le occasioni, quando non sembra che ce ne siano). È un Paese che, nonostante il frastuono degli slogan del "pensiero corretto" e dei tamburi del relativismo, sa ancora e sempre riconoscere i valori fondativi del vivere insieme: l’amore rispettoso per la vita di ogni uomo e di ogni donna dal primissimo inizio al naturale compimento; il riconoscimento pieno del ruolo unico della famiglia; la libertà di pensare, credere ed educare.Questo Paese l’abbiamo visto largamente rappresentato a Reggio Calabria, nei giorni della 46ª Settimana Sociale dei cattolici italiani, giorni intensi e sereni di dibattito e di confronto dei quali abbiamo dato e (ancora oggi) diamo conto. È un Paese fatto di gente consapevole e impegnata in modo coerente, a ogni livello della comunità ecclesiale e della società civile. È un Paese che per fortuna riesce ancora a specchiarsi in più di un esponente del mondo politico, ma che anche in esso – da troppo tempo – si vede e si sente sotto-rappresentato. È un Paese che coincide con la gente di Calabria che, la scorsa settimana, abbiamo incontrato in aeroporto, per strada, sui luoghi del loro lavoro e su quelli del nostro: gente amabile e tenace, sobria e rigorosa, generosa e mai invadente (l’esatto contrario delle belve della ’ndrangheta che hanno braccato, ucciso e sciolto nell’acido Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia).Questo Paese è fatto di persone che danno più di quel che ricevono, e che sanno pensare al futuro comune, al bene di tutti. È un Paese di gente esigente. Gente che dai grandi valori-base sa far discendere, con chiarezza, pur tra le cento difficoltà e contraddizioni che ogni giorno si vivono, tutti gli altri suoi "sì" e "no". No alle mafie e all’economia ridotta a speculazione, no all’uso irresponsabile della natura e del potere politico, no allo sfruttamento e allo svilimento del "diverso" e dell’indifeso, no ai partiti senza democrazia interna (dove cioè mancano le regole o dove in nome delle regole si uccide la libertà di coscienza). Sì, invece e sempre, alla cultura della legalità e alla ben regolata integrazione dei nuovi cittadini, sì alla "pulizia" e al rigore della classe dirigente e a un federalismo sussidiario e solidale (antidoto alla rottura strisciante dell’unità nazionale), sì a un fisco equo che non penalizzi più i nuclei familiari con figli e non sia clemente con gli evasori fiscali, sì alla ricostruzione di un welfare sostenibile e alla restituzione agli elettori del potere di scelta sugli eletti in Parlamento, sì a una sanità efficiente e al servizio dei malati e a un mondo del lavoro che sia "flessibile" per accogliere i giovani e non solo per farli precari, sì a un’Italia che si batta con coraggio nel mondo per affermare i diritti umani e il rispetto delle minoranze perseguitate.Sono "sì" e "no" che pesano. Di gente che non si accontenta dello spettacolino increscioso della politica-gossip e della politica-veleno, dell’economia rapace e lazzarona, del sindacalismo conservatore e miope e della giustizia azzoppata. Di gente che parla sempre di più di un’altra politica e di un’altra «generazione» di politici. Eppure – in questo tempo cinico e baro nel quale sembrano contare solo le «scelte» di campo e di fazione (con Bersani, con Berlusconi o con Casini?) e in cui le «mediazioni» finiscono per essere sempre e solo quelle che fanno strame dei valori fondativi, cari ai cattolici e a tanti laici – quelle idee-cardine, quelle parole, quelle attese pesanti paiono non fare rumore. Non somigliano all’Italia sangue e lustrini che abita le pagine di tanti giornali (non di tutti, e meno male). Dicono che sia il racconto dell’Italia che «vogliono i più». Noi non ci crediamo. C’è un Paese che non si accontenta, non si accontenta proprio. Ed è un Paese che si esprime soprattutto nella forza costruttiva di quello che si è soliti chiamare il mondo cattolico. Noi, ancora una volta, l’abbiamo visto bene. Disattenti e disinteressati forse non faranno male ad aprire gli occhi.