Opinioni

Rigenerazioni / 12. Il dono del secondo nome

Luigino Bruni sabato 17 ottobre 2015
Molte sono le guerre che si combattono sul nostro pianeta, nelle nostre città, nei nostri quartieri. Le armi sono tante e diverse, ma tutte producono soltanto morti, feriti, distruzione. Passano i millenni, ma il fratello continua ancora a ripetere all’altro fratello "andiamo ai campi". Ma tutte le volte che ricomponiamo la pace dopo i conflitti, rivive Abele, l’Adam passeggia di nuovo con Elohim nel giardino della terra, riusciamo a guardarci "occhi negli occhi" nella piena reciprocità e con gratuità assoluta. Tutte le volte che costruiamo e ricostruiamo la pace, la nostra azione si estende anche alla creazione, alla natura, alla terra. E quando smettiamo di essere "custodi" e neghiamo la pace, anche la terra, gli animali, le piante, vengono feriti, uccisi, umiliati, trascinati innocenti nel vortice della nostra violenza. Lo vediamo, sempre più chiaramente, ogni giorno. La pace, lo "shalom", è una grande parola biblica. È tra le più ricorrenti, forti, esigenti. La prima alleanza di Elohim con gli uomini arriva per ristabilire una pace-felicità originaria negata, per rigenerare lo "shalom" primordiale tradito dal peccato di Caino e da quelli altrettanto atroci dei suoi figli. Ci volle un primo costruttore di pace, Noè, per far splendere di nuovo l’arcobaleno sulla terra, per rendere ancora possibile una ricreazione del mondo e degli uomini. I costruttori di pace sono sempre costruttori di arche per salvare un’umanità guastata. Sono dei giusti che sentono una chiamata a lasciare la loro terra per salvare la terra di tutti. Se il mondo vive ancora nonostante tutto il male che generiamo, è perché Noè non ha mai smesso di costruire arche. I profeti e i tanti "beati" della storia hanno tenuto vivo l’arcobaleno nel cielo non smettendo mai di costruire la pace su una terra sempre bagnata dal sangue dei fratelli. La mano di Noè e dei costruttori di arche di pace è stata finora più forte e creativa delle mani di Caino e degli armatori di navi da guerra. Ai costruttori di pace non è promessa la terra, né la visione di Dio, neanche la misericordia. A loro è promesso soltanto un "nome": «Saranno chiamati figli di Dio». Un nome però immenso, il più grande di tutti, e usato solo per loro. I costruttori di pace sono i "pacificatori", coloro che ricompongono rapporti spezzati, che spendono la vita per risolvere i conflitti generati dagli altri. Lasciano la loro vita tranquilla per rendere più pacifiche le vite altrui. Costruttori di pace, edificatori di questo "shalom" biblico, si diventa solo per vocazione. Non è una faccenda di sola generosità né di altruismo. Si può mettere in discussione la propria vita per lo "shalom" degli altri e di tutti solo se una voce forte e più profonda ci chiama dentro. La costruzione della pace non è mai solo un mestiere, anche quando la costruzione e la ricostruzione di pace fa parte del nostro mestiere. A queste voci, a queste chiamate interiori, non si riesce a resistere: sono "efficaci". E non si resiste neanche quando non sappiamo da chi e da dove provenga la voce che ci chiama: per essere costruttori di pace è sufficiente sentirla e rispondere. Il nostro tempo conosce molte forme di guerra, e quindi conosce anche molte costruzioni di pace. Ma se il diluvio universale non torna e la vita continua, è perché dentro le guerre qualcuno continua a costruire pace, a immettere nel corpo cellule staminali che lo rigenerano – o almeno non lo fanno morire. Qualcuno che mentre le lobby dell’azzardo combattono le loro guerre contro poveri inermi, cerca di sabotare a terra qualche loro "caccia", di montare ospedali da campo per curare i feriti, di incontrare i loro generali per implorare una pace che non arriva mai. Sono costruttori di pace anche coloro che soffrono perché non riescono a costruire una pace impossibile e non mollano. Anche un costruttore di pace impotente e fallito resta un costruttore di pace. Non sappiamo se nel regno dei costruttori di pace sono più quelli che vedono arrivare la pace dopo le loro azioni, o quelli che passano tutta la vita a costruire paci che non vedono mai arrivare. E così, mentre si moltiplicano le costruzioni di morte, mentre i governi aumentano gli investimenti in armi e in sale slot, mentre i nostri bambini continuano a essere uccisi lungo le strade del Brasile e di troppi altri luoghi, Noè obbedisce alla voce che lo chiama, e anche oggi costruisce la sua arca. Ma il Vangelo ci promette che per i costruttori di pace arriva il giorno della beatitudine, il giorno in cui si sentono chiamare "figli di Dio". La beatitudine dei costruttori di pace sta infatti in un nome pronunciato, nel sentirsi "chiamare diversamente". La loro felicità sta nell’incontrare la voce che ci dà un nome nuovo. Tutte le beatitudini consistono in un sentirsi chiamare beati; ma per i costruttori di pace il sentirsi chiamare per nome è il contenuto stesso della loro beatitudine. Sono chiamati beati "mentre" sono chiamati con un altro nome. Nel mondo biblico "figlio di Dio" era il nome più alto, bello, grande che un essere umano poteva ricevere. Oggi, però, ci sono autentici costruttori di pace e di "shalom" che non proverebbero nessuna felicità se qualcuno li chiamasse "figli di Dio", perché hanno perso ogni contatto con l’umanesimo biblico o non lo hanno mai incontrato. Eppure la benedizione-beatitudine è anche per loro, perché deve valere per "tutti" i costruttori di pace. Le beatitudini sono vere per qualcuno se sono vere per tutti, per tutti coloro che si trovano oggettivamente in quella data condizione. Stanno in questa loro universalità la loro profezia e forza rivoluzionaria. Superano tutti i confini e i recinti delle religioni, delle fedi confessionali, delle ideologie. Nel regno dei beati ci sono molti più abitanti di quelli che frequentano chiese, sinagoghe, moschee, templi. Tutti i puri di cuore devono vedere un Dio che non si vede, tutti gli affamati di giustizia devono essere saziati, la terra promessa è la terra di tutti i miti. Tutti i costruttori di pace devono sentirsi chiamare "figli di Dio" e sperimentare una beatitudine-felicità, anche quelli che non sanno più che cosa significhino queste parole. Le beatitudini vivono nelle carni delle persone. Possiamo, per mille ragioni, non desiderare di essere chiamati "figli di Dio" (magari perché semplicemente il Dio che avevamo conosciuto era poco interessante, e non si desidera essere figli di qualcuno che non si stima); ma se le beatitudini sono vere e crediamo nel loro umanesimo, allora tutti i costruttori di pace devono provare una felicità speciale nel sentirsi chiamare con quel nome, e devono poterlo capire. Se crediamo alla promessa dobbiamo essere certi che i costruttori di pace un giorno sentono pronunciare il proprio nome, e scoprono una figliolanza nuova e diversa. Nel bel mezzo della buona e pacifica lotta per cercare di costruire la pace, per ricomporre famiglie, per sanare ferite, si sentono figli di quella voce che li ha chiamati a quel compito. Scoprono che rispondendo alla vocazione che li chiamava a costruire la pace, in loro è fiorito un altro nome accanto al nome donato loro dai genitori. Sentono di essere stati ri-generati da chi li ha chiamati, e intuiscono che quella voce che li chiama dentro è un’altra madre, è un altro padre. Non si sentono più orfani nelle loro solitudini. Se non siamo convinti dell’esistenza di questa diversa figliolanza, basta chiederlo ai costruttori di pace. E come abbiamo imparato il nostro primo nome udendolo pronunciato da chi ci amava (da bambini scopriamo il nostro nome perché qualcuno ci chiama così), anche il nome nuovo della pace lo impariamo sentendolo pronunciare da qualcuno che ci chiama. I costruttori di pace accedono allora a una dimensione profonda della vita, ricevono un secondo nome. Dalle loro lotte di pace e per la pace, escono feriti ma con un nome nuovo. Feriti e benedetti. Come Giacobbe, la benedizione è il dono di un altro nome. E così fanno forse l’esperienza più grande che si possa fare in questo mondo: scoprire che il proprio spirito è abitato da uno spirito più profondo, uno spirito che parla, che li chiama. Che ospitiamo uno soffio che non abbiamo prodotto, e che era lì, da sempre, ad attenderci. Che il nostro primo nome ne celava un secondo, più profondo e tutto dono. Se, almeno una volta nella vita, non si sente questo soffio, se non arriviamo mai a conoscere il nostro secondo nome, non raggiungiamo la verità più profonda su di noi, non inizia la vita spirituale, continuiamo per tutta la vita a parlare col nostro io anche quando lo chiamiamo Dio. La costruzione della pace attorno a noi è allora fondamentale perché diventa una via maestra per ricevere questo nome nuovo, per ri-conoscerci. C’è, infine, un rapporto profondo tra la fraternità e la costruzione della pace. È nella fraternità che ci scopriamo figli. Un giorno Giacobbe inviò suo figlio Giuseppe dai suoi fratelli lontani per vedere come stavano, per sapere come andava il loro "shalom" (37,14). Lungo la strada un uomo gli chiese: «Che cerchi?». Gli rispose: «Cerco i miei fratelli». Trovò i fratelli, ma non trovò né lo shalom né la fraternità. I figli di Giacobbe, lo sappiamo, rinnegarono lo "shalom" e profanarono la fraternità. Non c’è fraternità senza "shalom" (è decisivo ricordarlo proprio mentre brucia per guerra dei cuori, delle menti e dei coltelli la tomba di Giuseppe). Esiste però una fraternità spirituale tra tutti i costruttori di pace: sono figli della stessa chiamata allo "shalom", e quindi fratelli e sorelle tra di loro. È questa rete universale di fraternità che rigenera ogni giorno la terra macchiata dal sangue dei fratricidi, caparra di una nuova terra che deve arrivare, che ancora geme in attesa della piena rivelazione dei costruttori di pace. «Beati i costruttori di pace, saranno chiamati figli di Dio». l.bruni@lumsa.it