Opinioni

L’immigrazione va governata con civiltà. Scoprire braccia, ricevere persone

Maurizio Ambrosini domenica 29 maggio 2022

Non c’è più l’invasione. Anzi, a quanto sembra, ora gli immigrati mancano. Più precisamente, mancano le braccia degli immigrati in alcuni settori dell’economia, da tempo in affanno per carenza di manodopera. Così il governo ha annunciato un nuovo decreto-flussi, dopo aver già alzato – per iniziativa della ministra Luciana Lamorgese – le quote d’ingresso, alla fine dell’anno scorso, a 69.700 lavoratori autorizzati, perlopiù stagionali (42.000). Le domande delle imprese hanno invece superato quota 200.000.

È una buona notizia, anzitutto sul piano economico: fabbisogno di manodopera significa economia in ripresa, investimenti, fiducia, malgrado le cupe incertezze derivanti dalla guerra in Ucraina. L’Italia dell’ultimo decennio, nonostante le rumorose polemiche sull’accoglienza dei rifugiati, in realtà ha attratto pochi immigrati, perché era un Paese fermo, ripiegato su stesso, incapace di percepire un futuro.

Gli arrivi di persone giovani e desiderose d’inserirsi nel mondo del lavoro si correlano con lo sviluppo, non con il declino. Di qui il secondo aspetto positivo: l’apertura ai nuovi ingressi indica un cambiamento culturale, o almeno il suo inizio. L’immigrazione non è più una minaccia, ma a certe condizioni diventa una risorsa. Si comincia ad ammettere che un fenomeno complesso e variegato come quello migratorio non può essere trattato in blocco, e tanto meno governato a colpi di slogan e di polemiche sui social. Vanno distinte e gestite le sue componenti: i lavoratori in questo caso, così come il personale sanitario, gli studenti, i rifugiati, ucraini o di altra provenienza. Il cambiamento culturale coinvolge la sfera politica: le personalità del governo che in questi giorni si sono esposte nel richiedere l’apertura delle frontiere ai lavoratori sono il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni e il ministro del Turismo Massimo Garavaglia, entrambi targati Lega. Il primo ha parlato della necessità di «corrispondere prontamente alle richieste che arrivano dal mondo produttivo».

Il secondo ha lamentato la mancanza di 300-350.000 lavoratori, richiesti da ristoranti e alberghi, senza i quali la stagione turistica sarebbe a rischio. Alcuni hanno parlato di 'ravvedimento' leghista, sotto la spinta del principio di realtà rappresentato dalle esigenze del mercato del lavoro. C’è da auspicare che i nuovi toni, moderati e pragmatici, diventino un approccio politico consolidato, capace di reggere alle sollecitazioni degli interessi di bottega e alle sirene delle campagne elettorali. La riscoperta della funzione produttiva degli immigrati richiede tuttavia degli aggiustamenti.

Anzitutto procedurali: soltanto per il 20% dei lavoratori autorizzati dal precedente decreto flussi sono stati effettivamente autorizzati all’ingresso, e siamo già a fine maggio. La trafila è talmente lenta e farraginosa da vanificare le richieste delle imprese: i lavoratori rischiano di arrivare quando non servono più. In secondo luogo, abbiamo sul territorio migliaia di immigrati che non sono riusciti a regolarizzarsi e sopravvivono ai margini della società.

Ricordiamo che i decreti sicurezza targati Salvini avevano provocato il respingimento dell’80% circa delle domande di asilo. Persino lavoratori già assunti in regola sono stati condannati all’esclusione, fra le proteste dei loro datori di lavoro. La controversa sanatoria del 2020, successivamente, si è applicata soltanto al settore agricolo (poco) e al lavoro domestico-assistenziale. Migliaia di muratori, operai, addetti alle pulizie sono rimasti fuori: quelli di cui ora si scopre la necessità, sapendo fra l’altro che hanno già imparato un po’ d’italiano e hanno un mestiere. Serve una misura di regolarizzazione, caso per caso, degli 'invisibili' che hanno dimostrato la volontà di inserirsi nel lavoro e nella società italiana.

Terzo, i decreti flussi rischiano di rispondere alle necessità dei settori produttivi più organizzati e capaci di farsi sentire a livello politico. Strano per esempio che non si parli di lavoratrici domestiche e assistenziali presso le famiglie. Eppure la ripresa auspicata, se produrrà posti di lavoro per le lavoratrici italiane, aprirà nelle famiglie una domanda accresciuta di collaborazioni domestiche. I decisori politici sappiano guardare oltre gli interessi dei settori più forti. Quarto, e decisivo: una visione funzionalista degli immigrati, come semplice manodopera, ha già mostrato più volte i suoi limiti.

Le persone non si possono trattare come risorse usa e getta. Anche i lavoratori stagionali, per limitarci a questo caso, hanno esigenze che vanno al di là di un contratto di lavoro. Per esempio, una sistemazione abitativa dignitosa. Vale sempre il famoso aforisma dello scrittore Max Frisch, quando gli immigrati nella sua Svizzera erano soprattutto italiani: «Volevamo delle braccia, sono arrivate delle persone».