Opinioni

Un anno fa l'uccisione del ministro pakistano per la difesa delle minoranze. Bhatti, eredità viva

Marco Impagliazzo sabato 17 marzo 2012
È trascorso un anno dalla morte di Shahbaz Bhatti ma la sua memoria non si è affievolita. Anzi, più passa il tempo, più emerge la grandezza del ministro pakistano per la Difesa delle Minoranze, diventato un simbolo e un punto di riferimento non solo per i cristiani e non solo per il Pakistan, ma per il mondo intero. Come un uomo che si è battuto, fino alla fine, per la pace e per il dialogo e che non si è mai rassegnato alla logica dello scontro. Bhatti è stato ucciso il 2 marzo del 2011, in pieno giorno, mentre viaggiava senza scorta con la sua macchina nel centro di Islamabad. Non era un uomo isolato, che cercava la morte, ma, nonostante le minacce che, soprattutto negli ultimi mesi, erano giunte alla sua persona, non voleva rinunciare alla sua battaglia per i deboli e gli oppressi. Era un cattolico innamorato del suo Paese. Avrebbe potuto abbandonarlo dopo che tutto era diventato più difficile, dopo che la campagna per la modifica della legge sulla blasfemia si era trasformata in una violenta battaglia ideologica. Non è partito perché non poteva tradire la sua gente. Non solo i cristiani, ma tutte le altre minoranze che popolano il Pakistan e anche tutti quegli amici musulmani, che avevano condiviso le sue battaglie. Come il governatore del Punjab, Salman Taseer, che era stato ucciso in un attentato appena due mesi prima. Con lui era andato a calmare gli animi della popolazione di Gojra nell’agosto del 2009, quando vennero incendiate le case dei cristiani e morirono nel rogo sette persone, tra cui due bambini. Un cristiano e un musulmano uniti dalla stessa fiducia nel dialogo, consapevoli che è l’unica strada che il Pakistan può percorrere, l’alternativa allo scontro che porta solo divisioni e lutti. Le religioni in Pakistan possono rispettarsi reciprocamente e devono saper convivere, contribuendo alla costruzione e allo sviluppo comune così come aveva voluto nel 1947 il fondatore del Paese, Alì Jinnah. Shahbaz credeva con forza che quello non fosse solo un sogno dell’indipendenza, ma una promessa per il futuro, tanto che dopo essere diventato ministro per la Difesa delle Minoranze, nel novembre del 2008, il primo cristiano ad assumere quel ruolo, aveva lottato perché i suoi concittadini e le massime cariche dello Stato riprendessero, dopo anni di conflitti interni, a costruire un Paese plurale. Lo aveva fatto sorretto dalla sua fede e da una militanza che aveva cominciato a sperimentare sin dagli anni del liceo. Ed era riuscito, da politico, a ottenere conquiste importanti. Come il riconoscimento della Giornata nazionale delle Minoranze, proprio l’11 agosto, data del discorso fondativo della nazione pronunciato da Jinnah sessantacinque anni fa, e una significativa riserva di posti per le minoranze negli uffici pubblici. Ma anche la presenza dei non musulmani in Parlamento. Proprio in questi giorni, il 12 marzo, grazie ad una sua legge, hanno prestato giuramento per la prima volta quattro senatori delle minoranze su un totale di cinquantaquattro. La sua eredità politica l’ha raccolta oggi il fratello Paul che ricopre la carica di consigliere speciale del primo ministro per le Minoranze. Ma la sua forza spirituale l’ha ricevuta in dono tutta la popolazione, a partire dai poveri tra cui i molti musulmani che aiutò durante il terremoto del 2005, con l’Apma, la sua associazione. Così disse di quell’esperienza: «Sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: le genti non si odieranno, non uccideranno nel nome della religione, ma si ameranno le une le altre, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione». Ne era convinto Shahbaz, ne sono convinti oggi migliaia di pakistani, nonostante tutto, nonostante la violenza che ancora miete vittime innocenti, nonostante l’incomprensione e l‘intolleranza. Bhatti è morto, ma come ogni autentico martire lascia una speranza per il futuro e un movimento attorno alla sua memoria. Guardano in tanti oggi a lui come a un nuovo Martin Luther King nel cuore di un Asia, che sta tornando a essere, per tanti e diversi motivi, il cuore del mondo.