Opinioni

Quella «supplenza di civiltà» in mare. Basta fuoco sulle Ong

Marco Tarquinio martedì 25 aprile 2017

Ci risiamo. Dopo le cooperative sociali, le organizzazioni non governative umanitarie. Mentre ancora romba sordamente la campagna anti-cooperative fondata ingenerosamente sull’infedeltà e sul malaffare di alcune (solo alcune) di esse, ha preso a stringersi, a strappi violenti e continui, la tenaglia della polemica politica – dalla Lega ai 5 Stelle, passando per pezzi dell’area di governo – e della narrazione mediatica ambigua e ostile sulle attività delle organizzazioni umanitarie. Ancora una volta il settore d’impegno e d’azione messo nel mirino è quello del soccorso e dell’accoglienza a profughi e migranti. Stavolta in mare aperto, nelle attività di ricerca e soccorso dei bambini, delle donne e degli uomini in fuga dalla guerra, dalla violenza, dalla fame e dalla schiavitù che rischiano di morire nelle traversate del braccio di mare tra il Nord Africa e l’Italia. Traversate da incubo a cui sono costretti dalla mancanza di navi e vie e voli regolari e regolati e da un sistema di norme che li “clandestinizza” (e meno male che l’Italia ha saputo capovolgere questa impostazione almeno riguardo ai bambini e ai ragazzi che arrivano da soli nel nostro Paese). Traversate che continuano vista la piccolezza dei «corridoi umanitari» – aperti, in accordo coi rispettivi Governi, solo grazie alle iniziative ecumeniche di Sant’Egidio, dei protestanti italiani e francesi e delle Conferenze episcopali d’Italia e Francia – che possono diventare la giusta e finalmente proporzionata risposta alle sofferenze e agli appelli delle vittime dei conflitti e delle persecuzioni.

Le Ong impegnate nel Canale di Sicilia sono gli occhi che rischiamo di non avere più, sono le mani che non possiamo lasciare inerti, alimentano consapevolezze e sani e tenaci rovelli nelle coscienze d’Italia e d’Europa. Per questo non si può restare neutrali e indifferenti al tentativo di lordarne l’immagine e di “espellerle” dal Mediterraneo. È un fatto: denunce, segnalazioni, dossier, pamphlet, video anti-immigrati e anti-Ong si moltiplicano. Strumentalizzano accertamenti giudiziari. Trovano spazio, eco e legittimazione sulle pagine di giornali, anche autorevoli, dove nel giro di una manciata di settimane titoli pesanti e un aspro rumore di fondo informativo hanno preso a costruire, poco a poco ma con impressionante determinazione, l’abbinamento senza senso e senza verità tra gli «affari» dei trafficanti di essere umani e le Ong umanitarie.

Eppure corre quest’ennesimo falso ritornello – falso, sì, anzi falsissimo, fino a prova contraria – e continuiamo a registrare che inquirenti di prim’ordine, come quelli della Guardia di Finanza, stanno facendo cadere le più malevoli illazioni. Eppure dà ritmo, il ritornello, alla colonna sonora e iconografica di un brutto film, tutto giocato sull’incattivimento degli sguardi e delle parole a proposito dello straniero «che sta alla porta», e importuna, come tutti i poveracci, e sporca, e costa, e ruba ai vecchi di casa nostra, ed è nullafacente… Una “colonna infame” fatta di barzellette ciniche e di immagini odiosamente congegnate, che infestano il web e i cellulari degli italiani e ostentano uno stile che ricorda e aggiorna quello mortalmente usato contro gli ebrei nel cuore più malato del XX secolo a preparare l’inimmaginabile e la criminalizzazione permanente e senza scampo degli «zingari».

Certo, è vero: ogni malefatta compiuta all’ombra di simboli umanitari – se davvero se ne compissero – peserebbe il doppio. E correttezza operativa, onestà di intenti e di mezzi, trasparenza economica e gestionale sono beni necessari, attitudini qualificanti e decisive. Ma è ancora più vero che la specifica azione nel Mediterraneo delle Ong umanitarie, svolta sempre in stretto coordinamento con la Guardia costiera e la Marina militare italiana, vale oggi almeno il quadruplo del normale. È una supplenza di civiltà. È dedizione esemplare, nella più pura applicazione della “legge del mare” e dei grandi princìpi enunciati nei Trattati Onu e nella Costituzione italiana, o semplicemente, per chi crede, è adesione al Vangelo. Un servizio di umanità che risalta ancor più di fronte all’enormità della degenerazione meramente «securitaria» del doppio dispositivo europeo Frontex ed Eunavfor Med che ha sostituito in modo insufficiente e, diciamolo pure, umanitariamente sparagnino e reticente l’operazione italiana Mare Nostrum, voluta con scelta lucida e generosa dall’allora presidente del Consiglio Enrico Letta all’indomani della sconvolgente strage di migranti causata dal naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013.

Quando finirà, insomma, questo gioco al massacro della verità? Ong – come coop – non è una parolaccia, non è una sigla malavitosa. Qualche Ong fasulla c’è stata, qualcun altra ci sarà, ma quello delle Ong è un mondo esigente e buono. La stragrande maggioranza di esse – che operi in Italia, su barche in mezzo al nostro mare o in parti del mondo che forse conosceremo solo grazie a qualche coraggioso reportage o docufilm – è un prezioso e resistente pezzo dell’umanità che non si rassegna alla disumanizzazione, a quella «cultura dello scarto» che papa Francesco non si stanca di additare alla reazione della nostra intelligenza e del nostro cuore.