Opinioni

Lettere. Bambini ingestibili? Può darsi ma la maestra deve educare, mai maltrattare

Le nostre voci di Marina Corradi giovedì 15 marzo 2018

Caro Avvenire, mi si lasci la libertà di autocollocarmi nella mal sopportata truppa dei brontoloni se mi pongo una domanda inattuale come questa: “È da attribuire solo e sempre alle maestre d’asilo la colpa delle vessazioni contro i capricciosi pargoli loro affidati?”. Ci rendiamo conto che il “vietato vietare” del ’68 è diventato indiscutibile comandamento secondo il quale i genitori dei teneri virgulti esercitano la difficile arte dell’educazione? Sarò forse pessimista se oso prevedere che i detti virgulti conseguentemente diventeranno un giorno robusti tronchi e nodosi manganelli magari contro gli stessi genitori? Le nostre nonne, che esortavano a non praticare una piccola lesione in una calza per non comprometterne il tutto, avevano capito meglio di ogni autorità di qualsiasi società che la norma non è una vendetta del più forte, ma un ausilio a sostegno della tenera pianticella.

Antonio Contri


Succede, testimoniano le cronache, che l’occhio di una telecamera piazzata di nascosto dagli investigatori registri, in una scuola materna, maestre che usano le mani. E non per benigni, appena accennati sculaccioni, ma menando colpi in testa, e spintoni, o addirittura costringendo un bambino a rimangiarsi ciò che ha rigurgitato. Oppure, si sentono maestre che insultano: “idiota”, “deficiente”, parole che non fanno meno male degli schiaffi. Forse il lettore non ha guardato bene quei video. Non mostrano cose da poco, ma vessazioni e umiliazioni autentiche, tali per cui quei bambini non vogliono più andare all’asilo: fino a che la faccenda non viene fuori. Mi spiego questa lettera immaginando, forse a torto, che chi la scrive abbia una certa età. E quindi abbia memoria delle mamme circondate da una numerosa nidiata di figli piccoli, che per educarli usavano ora una carezza, ora un abbraccio, ora uno schiaffo, dato però da mani sempre materne, e preso al volo, senza che ne rimanesse il segno. I maltrattamenti registrati oggi in alcuni asili sono tutt’altro: raccontano di persone inadatte a quel lavoro, che sfogano la loro frustrazione con rabbia e anche con il compiacimento crudele di chi si crede impunito. Educare non è questo, educare non può essere mai, come dice lo stesso lettore, «la vendetta del più forte». «Sarò forse pessimista se oso prevedere che i detti virgulti diventeranno un giorno robusti tronchi e nodosi manganelli magari contro gli stessi genitori?», si chiede Contri. Io penso che questo rischio ci sia, ma per i bambini maltrattati: la violenza è un virus, e sappiamo come spesso chi è vessato diventa vessatore, chi è umiliato diventa bullo. In una drammatica coazione a ripetere, dura da spezzare. Se non ricominciando a educare, cioè a voler condurre verso il bene quel figlio. La radicale differenza fra gli sculaccioni delle mamme di ieri (e, qualche volta, di oggi) e i comportamenti di certe maestre che finiscono sospese e indagate è questa: quelle maestre non cercano affatto di educare, sono semplicemente esasperate e incattivite. Da bambini particolarmente viziati e irrequieti, ingestibili? È possibile che una generazione di figli unici fatichi di più a socializzare di coloro che crescevano in grandi famiglie. Eppure quella dell’asilo è un’età così tenera, che moltissimo si può fare ancora – almeno, nella mia esperienza di madre di tre figli, ora grandi – con sorrisi, carezze, abbracci, gioco: con tutta la straordinaria, e in molte donne istintiva, gamma dei modi materni. Il signor Contri parla delle nonne, che sapevano che la norma è «ausilio alla tenera pianticella». A tre anni la pianta, infatti, è tenera, la creta è fresca e duttile. Ci vogliono mani capaci di plasmare, di correggere con tenerezza: di certo non botte, non insulti, che possono spezzare quel legno ancora verde, e restare addosso, come marchi indimenticabili.