Opinioni

Sciopero generale: il triste caso delle Ferrovie. Balletti politici e diritti a scartamento ridotto

Francesco Riccardi venerdì 12 dicembre 2014
Compagno ferroviere, puoi scioperare! E tu cittadino pendolare potrai viaggiare! Certo mica sempre: prima delle 9 e dopo le 16 di venerdì e ancora fino alle 24 di sabato, che poi i treni («Frecce» a parte) si fermano di nuovo per un altro giorno. Bentornati in Italia, il Paese del compromesso e dei servizi pubblici a singhiozzo. Ieri c’eravamo svegliati con il pensiero di essere in una nazione in cui si fanno rispettare le leggi (certo, una pazza idea..) e si tutelano tutti gli interessi, dovesse pure costare qualche limitazione. Ma l’illusione è durata poco. È bastato che i sindacati facessero la voce grossa perché il governo facesse una bella marcia indietro, innestata dal premier e prontamente eseguita dal ministro delle Infrastrutture.  È accaduto infatti che la precettazione decisa dal ministro Lupi su richiesta dell’Autorità garante per gli scioperi sia stata ritirata di gran corsa ieri sera, dopo un incontro al Ministero con i sindacati. I quali si sono limitati a limare di appena un’ora l’astensione di 8 ore proclamata senza badare al fatto che il giorno dopo ce ne sarebbe stata un’altra tale da lasciare di fatto a piedi gli utenti fino a lunedì. Accavallamento che aveva fatto dire all’Autorità garante che vi era «il fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati». Da qui appunto la scelta della precettazione. Susanna Camusso e Carmelo Barbagallo ieri mattina avevano parlato di «un fatto gravissimo... mai accaduto... in precedenza la verifica dell’eventuale compressione del diritto alla mobilità veniva effettuata successivamente allo svolgimento della manifestazione...». Addirittura, secondo i segretari generali di Cgil e Uil era «una ferita alla democrazia, al diritto di sciopero sancito dalla Costituzione. È nostra intenzione investire dell’accaduto le massime cariche dello Stato».  Eppure che lo sciopero non dovesse coinvolgere alcuni settori era noto da settimane. Almeno dal 25 novembre, quando la Commissione di garanzia per gli scioperi, autorità terza, aveva inviato ai sindacati un avviso, evidenziando come nel trasporto ferroviario non sarebbe stata rispettata la regola dei 10 giorni di intervallo tra uno sciopero e l’altro, visto che ne era già stato proclamato uno per il 13 e 14 dicembre. Anzi, in verità anche nel trasporto aereo e in quello pubblico locale erano state evidenziate delle criticità, ma mercoledì la richiesta del garante al ministro delle Infrastrutture di precettare i lavoratori aveva riguardato solo le ferrovie. Lo stupore di Cgil e Uil, dunque, si spiegava solo con il fatto che – forse davvero per la prima volta – si intendeva far pienamente rispettare la legge che regolamenta il diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali (146/1990).  Senza inutili «verifiche successive», che per i viaggiatori hanno il sapore della beffa. Non c’era in questo alcuna ferita alla democrazia, nessuna violazione della Costituzione, la quale semmai sancisce proprio come «Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano» (art.40). Una volta tanto si cercava di tutelare, oltre al diritto di sciopero, anche quello dei cittadini alla mobilità, altrettanto costituzionalmente garantito (art.16).  Certo, Camusso e Barbagallo avevano tutto l’interesse a tenere alto il tono della polemica, a gridare alla repressione politica. Oltre che a puntare soprattutto sullo sciopero nei servizi pubblici, dove le adesioni sono sempre più alte rispetto a quelle nel settore privato e che danno maggiore visibilità alla protesta proprio per i forti disagi che creano ai cittadini. Meno chiaro è invece quale sia stato il ragionamento strategico – ammesso che esista – dietro il balletto di posizioni del Governo. Che prima, su impulso del garante, fa la faccia feroce precettando. Poi convoca i sindacati e tratta un’intesa che fa molto rima con resa. A dare l’input sembrano essere state le parole dello stesso Matteo Renzi che da Ankara auspicava che si trovasse «una soluzione tra Lupi e Camusso».  A fine giornata, alla vigilia di uno sciopero generale decisamente politico, Cgil e Uil possono cantar vittoria e sottolineare gli errori dell’esecutivo. Il Governo ne esce malconcio, così come danneggiata risulta l’autorevolezza della Commissione di garanzia sugli scioperi. Ma chi paga il prezzo più alto, come al solito, sono i cittadini. I viaggiatori che ieri hanno prima prenotato e poi disdetto i biglietti del treno; che in questo weekend, per muoversi, dovranno badare a far coincidere gli orari con le scelte dei sindacati. I loro, sempre diritti a scartamento ridotto.