Opinioni

Ricorrenza. L'uomo, la Luna e l'inno sofferto di Padre Turoldo

Marco Roncalli venerdì 17 luglio 2009
«Bellissima cosa e mirabilmente piacevole, vedere il corpo della Luna... », quando, quattro secoli fa, puntato il cannocchiale a contemplarla con nuovi occhi, Galileo Galilei scriveva nel «Sidereus Nuncius» queste righe, i suoi avversari parlavano di un’allucinazione: più o meno come quelli che continuano a dubitare del primo allunaggio, quarant’anni fa, vedendo in esso il «primo assaggio di realtà virtuale» . Sgombrato il campo dalle teorie dei complotti a colpi di effetti speciali, resta il fatto che l’inizio della colonizzazione umana del cosmo, cominciata con il satellite vicino alla Terra, avvenne nel clima di guerra fredda tra Urss e Usa con investimenti pazzeschi a sostegno di una sfida che esigeva la vittoria e per gli americani ancor più che la guerra in corso nel Vietnam. E così finì che persino l’astro irraggiungibile cantato nei secoli da Saffo a Leopardi, o da Rabindranath Tagore a Federico García Lorca, venne addirittura calpestato da due coraggiosi astronauti – Neil Armstrong e Buzz Aldrin – che consegnarono agli Usa con il loro balzo sul suolo lunare il ruolo di prima potenza mondiale. Oggi però rivedere le sequenze filmate di quel repertorio provoca, oltre alle emozioni di ieri, qualche interrogativo in più che nell’ubriacatura del revival di questi giorni non sempre ha trovato... spazio. E non ci riferiamo al fatto che lassù l’uomo, nonostante progressi tecnologici incredibili e il perdurante bisogno di possibili fonti energetiche, non ha voluto rimetterci piede. Né alla crisi economica globale che farebbe sembrare assurda un’altra simile assai onerosa conquista, ritenuta ambigua già quatto decenni fa da chi anelava pane per gli affamati invece che pietre seppure lunari («Non credere, America, che ti si possa perdonare / perché sei approdata sulla Luna: / altri comporranno infiniti pena / all’avvento dell’era nuova. / Non io, pur commosso e lacerato a un tempo / dal rimorso di essere uno dei tuoi: / non io, che sarei maledetto, soffocando / la consapevole impotenza degli umili...» , scrisse padre Davide Turoldo nella sua elegia per il 21 luglio 1969). No. Piuttosto, ci riferiamo ad alcune immagini. Una fra tutte quella dell’astronauta che posa la bandiera a stella e strisce sulla luna e che – indirettamente – suggerisce l’idea di chi fissa la sua sovranità, quasi a rivendicare un dominio, benché il diritto aerospaziale lo escluda nettamente. Infatti – ed è anche questo il bello della luna –, il Trattato del ’ 67, l’Outer Space Treaty, afferma cose poco note, ma assai interessanti. Ad esempio che « lo spazio extra atmosferico, ivi compresa la luna, [...] può essere esplorato e liberamente, senza alcuna discriminazione » (articolo 1). Anzi dice di più: «Anche realizzando una base lunare permanentemente abitata si potrà al massimo rivendicare la propria sovranità entro la base stessa» (articolo 2). E non è finita; ecco cosa recita l’articolo 4: « Sono vietati sui corpi celesti l’apprestamento di basi e installazioni militari, di fortificazioni, la sperimentazione di armi di qualsiasi tipo e l’esecuzione di manovre militari » . Mi chiedo perché certe regole che valgono sulla luna non debbano valere su questa terra dove, fra l’altro, sarebbe quanto meno più facile o frequente il poterle applicare. Me lo chiedo ingenuamente pensando che da noi viene respinto chi calpesta il patrio suolo anche se fugge dal suo Paese solo per sopravvivere e, in fin dei conti... non vuole mica la luna.