Opinioni

Pubblica amministrazione. Avvio di riforma. Ora coinvolgere

Francesco Riccardi sabato 14 giugno 2014
​«Repubblica semplice», lo slogan scelto dal governo per la riforma della Pubblica amministrazione, è quello più difficile da tradurre in realtà fra i tanti partoriti dalla fantasia del premier. La nostra burocrazia, infatti, da barocca è ormai diventata rococò, con una ridondanza di adempimenti e gravami, caricati su imprese e persone, che hanno contribuito a rendere il nostro Paese sempre meno attrattivo per le attività economiche, sempre più complicato per i cittadini. Non c’è campo, nella quotidianità degli italiani, infatti, in cui non ci si imbatta in una complicazione, in una norma non intellegibile, in un’imprevista gabella, non ci si scontri con orari e modalità di servizio pubblico che spesso, troppo spesso, hanno perso la dimensione di "servizio" per diventare burocrazia, "potere" appunto.Se c’è dunque una dimensione che la riforma della pubblica amministrazione, varata ieri con una legge delega, dovrebbe proporsi di recuperare prioritariamente è proprio quella del "servizio". Un’amministrazione pubblica è anzitutto questo: è servizio al cittadino. Non forche caudine, sotto le quali passare, ma baluardo di difesa, aiuto per chi si trova in difficoltà, risposta efficace e pronta ai bisogni del cittadino. Una modalità di servizio che può realizzarsi solo se chi vi adempie ne è pienamente cosciente, è coinvolto in prima persona, sente il suo lavoro come una sorta di missione, è reso orgoglioso del suo servire i cittadini, viene spronato e giustamente ricompensato per come lo fa.Se allora guardiamo ai provvedimenti approvati dal governo da questo punto di vista è possibile scorgere nelle misure prese un deciso avvio di cambiamento, che dovrà però essere portato a compimento e completato con altre misure e soprattutto con un diverso approccio culturale. La filosofia sottesa alla riforma, infatti, è anzitutto quella di riorganizzare, razionalizzandole, le strutture dello Stato, grazie ad esempio ad accorpamenti di enti, corpi di polizia, prefetture, sovrintendenze, centri di acquisto, assieme alla riduzione dei permessi sindacali. Poi di organizzare il personale in maniera diversa a partire dalla dirigenza, riunita in un’unica fascia, con limiti allo stipendio non più "variabile indipendente" ma con un bonus pari al massimo al 15% della retribuzione, legato all’andamento del Pil del Paese e a specifici obiettivi. Il cui mancato raggiungimento potrà anche portare alla revoca del mandato dirigenziale. Per gli impiegati si tenta il necessario "svecchiamento" con il part-time agevolato, lo stop al trattenimento in servizio, la mobilità obbligatoria (ma entro un limite chilometrico "ragionevole"), il progressivo allentamento del blocco del turn-over che permetterà alle amministrazioni di tornare finalmente ad assumere giovani, addirittura 15mila secondo le previsioni del governo. Importanti, in questo quadro, l’innovazione del telelavoro, la sperimentazione di orari elastici e di nuove tecnologie, le misure per la conciliazione famiglia-lavoro, se non rimarranno meri annunci.Si delinea insomma un processo di cambiamento lento, che avrà bisogno di tempo per dare frutti concreti, ma che oggi non aveva alternative – come prepensionamenti, tagli drastici, "deportazioni" di massa di travet da un territorio all’altro – che fossero socialmente sopportabili. Piuttosto, nel ripensare la Pubblica amministrazione, manca un tassello fondamentale: la ricostruzione di un rapporto forte con i lavoratori, la loro rimotivazione a partire dal rinnovo del contratto nazionale bloccato ormai da 4 anni. Le confederazioni sbaglierebbero a opporsi a una riforma così "morbida", positiva e attesa. Ma le relazioni tra governo e rappresentanze sindacali sono al punto più basso dal Dopoguerra: persino il centrodestra di Berlusconi, nella sua linea scopertamente  anti-sindacale, ebbe maggiore considerazione del ruolo di Cgil, Cisl e Uil. Se il governo Renzi non saprà ritrovare la giusta chiave del dialogo (che non è il riconoscimento di un paralizzante potere di veto) e della valorizzazione dei dipendenti, temiamo che neanche questa riforma riporterà la Pubblica amministrazione a essere un vero servizio ai cittadini e al Paese.