Opinioni

Il direttore risponde. Autunno, pausa che introduce all'Avvento

domenica 9 novembre 2008
Caro Direttore, invio una breve riflessione che ha per tema il pensiero di grazia. Un pensiero di grazia è un pensiero che ci fa credere in primo luogo che non tutto dipende da noi. E basterebbe già questo per trovare grazia in noi stessi, per sentirci riconosciuti davanti agli occhi della nostra coscienza, farci abbandonare il movimento centrifugo del fare, dell'agire, del realizzare e riportarci verso di noi, verso il nostro centro che è fatto non solo di espansione ma anche di guardarsi dentro, di cognizione e di comprensione di sé. Un pensiero di grazia è l'accorgersi e l'ammettere la nostra limitatezza: esso sottintende la confessione a noi stessi della nostra insufficienza. È su questo senso di umanità e di umanizzazione che si costruisce: un pensiero di grazia ci appartiene e nello stesso tempo non ci appartiene; dipende da noi, ma riconosce che non è solo nostro. Ancora una volta rinuncia alla centralità del soggetto e la sposta e de-centra su un Altro. Già, perché ammettere l'altro è forse il pensiero di grazia maggiore e ammettere l'Altro con la maiuscola è la grazia somma. Ricevuta questa, non c'è bisogno per una persona di altre grazie, comunque minori e transitorie, che si rivelerebbero del tutto insufficienti. Perciò la sua richiesta può essere solo che questa grazia gli sia sempre presente: di non smarrire il senso di Dio che lo fa essere e che guida le sue vie, di mantenersi in questa umile certezza.

Lucio Coco Bée (Vb)

La sua lettera è in piena sintonia con quanto proposto ieri nella prima pagina di "èfamiglia". E non posso non dichiarare anch’io il mio sconcerto per la misura a sostegno delle famiglie che desiderano mettere al mondo un figlio proposta dal sottosegretario Giovanardi. Mi pare perlomeno azzardato che, con l’attuale clima economico, una coppia possa cambiare idea e decidere di mettere al mondo un figlio, superando difficoltà e timori, solo perché il governo le mette a disposizione 5.000 euro da restituire in cinque anni al 4 o 5% di interesse. Un tasso che viene presentato come agevolato, ma che tale appare ben poco. Se vogliamo rimanere in questo campo, come dovrebbe essere un prestito effettivamente "promozionale"? Mi viene in mente il modo in cui il Regno Unito finanzia gli studenti universitari. L’iscrizione annuale costa poco più di 3.000 sterline (circa 4.000 euro) e ciascuno studente inglese o dell’Unione europea può scegliere di non pagare subito l’importo, ma di restituirlo dopo la laurea, aumentato solo del tasso di inflazione, quando disporrà di un reddito annuo superiore a 15.000 sterline (18.750 euro). Questo è un patto leale, che dimostra un effettivo coinvolgimento dello Stato nel sollievo di una situazione che rischia di impedire l’accesso a un diritto quale l’istruzione a chi ne ha i titoli ma non le risorse economiche. Nel caso dell’Italia, invece lo Stato si propone solo come ragioniere taccagno oltre che miope, giustificando la sua sferzante battuta sul figlio "pignorabile". Spero davvero che la compagine governativa dia prova tempestiva di voler riequilibrare le sue attenzioni e priorità, includendovi a pieno titolo e con misure significative la famiglia, evitando anche quelle estensioni lessicali indebite per le quali ogni iniziativa di riduzione della fiscalità - vedi abolizione dell’Ici - sarebbe "a vantaggio della famiglia". Servono, fuori da ogni ambiguità, politiche premiali specifiche, come da decenni applicate in Francia e Germania. Serve avviare il processo indirizzato all’introduzione del quoziente familiare: aspettare oltre rischia di spingere al collasso un numero drammatico di famiglie, con ripercussioni sullo stato sociale molto più gravose dei fondi che oggi diventa necessario reperire. Se l’Italia non può permettersi il fallimento delle sue banche, non può nemmeno disinteressarsi della "bancarotta" che incombe su tante famiglie.