Opinioni

Anche in Italia servono norme più severe . Armi: perché anche in Italia servono regole

Raul Caruso giovedì 8 ottobre 2015
La strage in Oregon ha riacceso in America polemiche e discussioni in merito all’opportunità di limitare la diffusione delle armi da fuoco. In Italia, a dispetto di sbandierate preoccupazioni per la sicurezza, un qualsivoglia dibattito in merito è paradossalmente inesistente. Tra gli studiosi non vi è dubbio alcuno riguardo il costo sociale della disponibilità di armi da fuoco: in numerosi e autorevoli studi emerge chiara e incontestabile l’evidenza che a una loro maggiore diffusione è associata una maggiore intensità di omicidi, suicidi e di altre forme di crimine violento. Alla luce di tale evidenza, al fine di prevenire la proliferazione di armi da fuoco anche nel nostro Paese, una normativa più stringente sarebbe un primo passo desiderabile. Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nel discorso di chiusura del Festival dell’Unità di Milano ha annunciato che il Pd ha intenzione di proporre una legge presto in materia.  Dal 2013 al Senato è disponibile un disegno di legge (iniziativa delle senatrici Granaiola e Amati) che prevede tra le altre cose: limiti più stringenti alla detenzione di armi (come il divieto di detenere in casa le armi sportive), la costituzione di un’anagrafe informatizzata dei possessori di armi, obblighi di comunicazione tra le strutture sanitarie e le questure in merito alla salute mentale di chi richiede il certificato medico per il rilascio del porto d’armi e l’obbligo di stipulare un’assicurazione per la responsabilità civile verso terzi.   Una legge che facesse proprie queste indicazioni andrebbe nella giusta direzione, ma potrebbe non essere sufficiente. Essa dovrebbe essere integrata da un programma di riacquisto (buyback) delle armi da fuoco. Un esempio famoso e illuminante in questo senso è quello australiano. Nel 1996 all’indomani di una strage operata da un uomo affetto da una malattia mentale, fu implementata una legislazione più severa volta a limitare la diffusione delle armi da fuoco. Pilastro di questa politica fu il buyback di alcuni tipi di armi da fuoco nel frattempo rese fuorilegge. Tra il 1996 e il 1997 circa seicentocinquantamila armi furono riacquistate e successivamente distrutte. Il risparmio di vite umane in questo caso fu eccezionalmente significativo. Nel giro di pochi anni, nel 2006, si calcolò che il tasso di omicidi per arma da fuoco era diminuito del 59% nei dieci anni successivi e così i suicidi, diminuiti del 65%. Inoltre, anche le rapine a mano armata risultarono in numero significativamente inferiore, ma era ancor più interessante notare che erano diminuiti anche gli omicidi e i suicidi non operati con arma da fuoco nonché altre categorie di crimini quali le violenze sessuali. Invero, la riduzione delle armi disponibili ha prodotto una ricaduta positiva per la società.   Di conseguenza, unitamente a un controllo più severo in merito alla detenzione delle armi da fuoco sarebbe comunque necessaria anche la costituzione di un fondo per il loro riacquisto da parte delle questure in modo da creare un incentivo credibile negli individui. È necessario, comunque, sottolineare che eventuali programmi di buyback devono tenere in adeguata considerazione alcune criticità. In primo luogo essi dovrebbero includere il numero più ampio possibile di armi da fuoco, ivi comprese alcune tra le armi a uso sportivo. In secondo luogo, un programma di riacquisto dovrebbe basarsi su un prezzo che ecceda un prezzo medio di mercato in modo da creare un incentivo sostanziale negli individui. Questo implica un ulteriore impegno nel monitoraggio del mercato delle armi tuttora non esistente. La creazione di un osservatorio sui prezzi delle armi da fuoco è un tassello importante per una politica di buyback efficace.  Inoltre, non può non tenersi in considerazione la disponibilità di armi in Paesi limitrofi a regolamentazione più blanda. È chiaro, infatti, che le armi da fuoco sono facilmente trasportabili e quindi è probabile oltre che profittevole la diffusione tra regioni o Paesi confinanti che abbiano un chiaro differenziale in termini di vincoli normativi. Un recente studio, ad esempio, ha dimostrato che in Messico la quantità di omicidi è più elevata nelle regioni settentrionali al confine con il Texas e l’Arizona, ma non in quelle con la California in cui le leggi sulla vendita delle armi sono più stringenti. In Europa aveva suscitato una certa eco nello scorso febbraio la rivelazione che i fucili automatici utilizzati nell’attacco al giornale satirico Charlie Hebdo erano state probabilmente acquistate in Slovacchia. Per essere realmente efficace un programma di riacquisto dovrebbe, quindi, avere una copertura europea. All’auspicata legiferazione nazionale dovrebbe affiancarsi un’iniziativa in questo senso presso gli organi dell’Unione.  Essa, peraltro, non solo sarebbe in linea con la mission originaria dell’integrazione europea ma sarebbe anche auspicabile alla luce delle recenti preoccupazioni in termini di sicurezza.  D’altro canto se un Paese annunciasse un programma di riacquisto di armi, gli individui avrebbero un incentivo diabolico ad acquistare armi in un Paese a prezzi più bassi e con regolamentazione più blanda per poi cederle nell’ambito del programma di riacquisto. Questo è tanto più probabile se consideriamo il fenomeno crescente delle vendite on line di armi da fuoco usate.  Internet allarga i confini del mercato e quindi l’offerta di armi usate tende ad aumentare spingendo i prezzi verso il basso. Di conseguenza, la quantità e la varietà di armi detenute dagli individui tendono ad aumentare. Inoltre, in base al famoso meccanismo noto agli economisti del 'mercato dei bidoni', sarà più probabile la diffusione di armi di qualità scadente con il conseguente aumento dei rischi di cattivo funzionamento e incidenti. È quindi essenziale che agli individui che abbiano aderito al programma di riacquisto dovrebbe essere fatto divieto di detenzione futura di armi da fuoco.   In assenza di un limite di questo tipo, un prevedibile comportamento opportunistico sarebbe quello di cedere alle questure le armi da fuoco di bassa qualità o non più funzionanti per poi riacquistare nuovamente armi sul mercato. Le questure si troverebbero a raccogliere e distruggere armi scadenti senza alcun vantaggio sostanziale dal punto di vista della sicurezza sociale. Quale misura accessoria, al fine di rafforzare gli incentivi per gli individui exdetentori di armi potrebbero essere quindi garantiti ulteriori sconti fiscali in via permanente.  Una lieve diminuzione degli introiti fiscali sarebbe trascurabile rispetto ai vantaggi sociali che ne deriverebbero. In linea generale, infatti, creare un sistema di incentivi, per quanto articolato, può risultare più efficace rispetto a un sistema basato esclusivamente su controlli e licenze che rischia di risultare eccessivamente costoso per le stesse amministrazioni dello Stato.