Opinioni

Migranti. Respingimenti in Libia: opporsi si può. A Roma si fa giustizia

Stefano Zirulia sabato 18 dicembre 2021

Un gruppo di migranti sulla Ocean Viking

Con una sentenza per molti aspetti storica, la Corte di Cassazione ha deciso una questione giuridica del tutto nuova, applicando una delle norme più antiche dell’ordinamento penale. La questione è se possa considerarsi legittima la condotta di persone migranti che, dopo essere state soccorse in acque internazionali da una nave italiana (il rimorchiatore Vos Thalassa), assumano atteggiamenti aggressivi verso l’equipaggio per evitare di essere riconsegnate alle autorità libiche, costringendo il comandante a rivolgersi alle autorità italiane e ottenendo, infine, di essere portate in Italia.

La norma applicata dalla Cassazione è la "legittima difesa", che nel suo nucleo centrale è rimasta immutata da quasi un secolo: «Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa» (articolo 52 Cp).

Prima di giungere in Cassazione, la questione era stata oggetto di pronunce di segno opposto da parte dei giudici di merito. Nel 2019 il gup di Trapani aveva riconosciuto la legittima difesa, affermando che i migranti avevano difeso il proprio diritto a non essere respinti verso la Libia (un Paese nel quale rischiavano di subire torture e trattamenti inumani e degradanti), ossia quel diritto al nonrefoulement che è cristallizzato nell’ordinamento italiano e internazionale, già riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo proprio in un caso di respingimento verso la Libia (sentenza Hirsi del 2012). Nel 2020, tuttavia, la Corte d’Appello di Palermo aveva ritenuto che i migranti, intraprendendo il viaggio verso l’Europa, avessero volontariamente generato il pericolo dal quale pretendevano di difendersi, e che ciò precludesse l’operatività della legittima difesa.

Conseguentemente, i giudici palermitani avevano inflitto agli imputati una severa condanna per i reati di resistenza, violenza e minaccia a pubblico ufficiale, nonché di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Il procedimento è giunto infine in Cassazione e la Suprema Corte ha annullato la condanna, riconoscendo che gli imputati avevano in effetti agito per legittima difesa, come originariamente stabilito dal gup di Trapani. Le motivazioni non sono state ancora depositate, ma fin d’ora si possono esprimere alcune valutazioni.

Anzitutto, è evidente che la sentenza della Corte d’Appello era incorsa in un errore logico, confondendo il pericolo al quale si erano esposti i migranti (quello di naufragare durante la traversata) con il pericolo generato dal comandante della Vos Thalassa, sulla base delle istruzioni ricevute dalle autorità italiane (quello di subire atti di violenza da parte delle autorità libiche). In secondo luogo, la sentenza Vos Thalassa può essere letta congiuntamente alla sentenza Rackete, nella quale la Cassazione aveva ritenuto giustificata la resistenza a pubblico ufficiale realizzata dalla comandante della Sea Watch-3 sulla base dell’adempimento del dovere di soccorso in mare.

Tanto l’adempimento del dovere di soccorso, quanto la legittima difesa, sono regole che servono a risolvere contrasti tra interessi confliggenti, determinando la prevalenza dell’interesse di rango superiore. Ecco allora che, ogniqualvolta si cerchi di far prevalere l’interesse alla protezione dei confini rispetto ai diritti fondamentali alla vita e all’integrità fisica, è del tutto fisiologico che queste norme vengano in rilievo per giustificare il ripristino, persino con la forza, del corretto bilanciamento dei valori in gioco. Di fronte ai tentativi di trasformare il Mediterraneo in un confine italiano ed europeo invalicabile per migranti e richiedenti asilo, l’ordinamento giuridico sta dimostrando di essere in grado di reagire, grazie all’intelligenza, alla lucidità di pensiero e anche al coraggio degli avvocati difensori e a magistrati fermi e sereni nel giudizio.