Opinioni

Il dibattito di «Liberi per vivere». Alzare la soglia etica servizio a tutta la società

Benedetto Ippolito domenica 3 maggio 2009
Il 21 marzo è stato presentato a Roma, dall’Associazione Scienza & Vita, dal Forum delle famiglie a da Retinopera, un importante Manifesto etico dal titolo 'Liberi per Vivere'. Si tratta di una proposta culturale sintetica ed efficace, ormai abbastanza conosciuta, che si propone come scopo la diffusione di una cultura favorevole alla vita umana. Leggendo tra le righe le tesi richiamate nel breve programma, si rimane colpiti soprattutto dall’elevata universalità dei contenuti, senza alcuna parzialità e senza alcun richiamo diretto alla fede. Si parla esplicitamente della vita umana come un fine, del significato trascendente che ha la singola esistenza personale, considerando, senza mezzi termini, la struggente situazione di disagio e di dolore dei malati, soprattutto nei casi estremi di sofferenza e solitudine. Ai tre Sì programmatici principali - alla vita, alla medicina palliativa e all’umanizzazione dei malati - si affianca un rilievo costante e preciso a favore di un insieme vasto e universale di valori antropologici. D’altra parte, considerando i diritti fondamentali della persona, e in primo luogo l’intangibile indisponibilità individuale d’ogni vita umana, è difficile pensare che qualcuno possa sentirsi escluso dal novero della citazione. Sembrerebbe perfino inutile richiamarsi - come giustamente avviene nel documento - alla Costituzione, giacché la prospettiva è l’umanità nel suo insieme, e non una singola comunità nazionale. È curioso notare, tuttavia, come di solito in queste battaglie culturali sacrosante intervengano, tranne rare eccezioni, sempre i 'soliti noti', ossia sempre le consuete associazioni cattoliche e gli abituali protagonisti, e come contemporaneamente dilaghi nella coscienza comune una crescente indifferenza e uno scarso coinvolgimento personale. È sufficiente, per esempio, che qualcuno sbandieri la libertà di morire in Tv, magari davanti ad un caso umano lacerante e intollerabile, per riscontrare poco dopo grandi consensi generalizzati a favore dell’eutanasia. Mentre, per contro, il normale diritto alla vita di un malato terminale che lotta contro la morte nell’anonimato di una corsia d’ospedale cade regolarmente in secondo piano, ricordato da pochi stravaganti obiettori di coscienza, di cui s’ignorano, alla fine, le vere motivazioni ideali. A rendere questo paradosso addirittura clamoroso in questi giorni ci ha pensato l’atteggiamento coerente assunto dalla studiosa statunitense Mary Ann Glendon - ex ambasciatore Usa presso la Santa Sede e attuale presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali - la quale ha rifiutato di ricevere un premio alla Notre Dame University, solo perché lo stesso giorno è conferita la laurea onoris causa al presidente degli Stati Uniti Obama, notoriamente impegnato a favore di aborto ed eutanasia. Viva il coraggio della verità, viene di dire. Quanti di noi, però, sarebbero disposti a fare una cosa del genere? Sarebbe bello, viceversa, che in futuro vi fossero più testimonianze di questo tipo anche da parte nostra, specialmente quando ad essere messi in discussione sono concretamente alcuni riferimenti etici d’inestimabile valore umano. D’altronde, il disappunto può emergere anche solo per l’orgoglio di essere cittadini, e non esclusivamente per la responsabilità di essere credenti. E il Manifesto per la vita costituisce, in definitiva, un’ottima occasione propizia per riaccendere di passione etica la società, iniziando da una maggiore consapevolezza democratica del bene universale rappresentato dalla tutela dei diritti umani fondamentali.