Opinioni

La risposta alla crisi. Integrazione o due aree euro: altro ritmo o altra Ue

Leonardo Becchetti mercoledì 24 agosto 2016
La crisi europea di oggi, motivo dell’incontro tra i leader dei tre maggiori Paesi dell’Unione Europea in quella che è stata definita la "seconda Ventotene", è di natura esattamente opposta a quella che settant’anni trovò parte della risposta nella "prima Ventotene". Cioè nel manifesto della saggia e visionaria risposta euro-federalista alle devastanti ideologie che avevano scatenato il conflitto bellico. Infatti nessuno (o quasi), almeno nel Vecchio Continente, alimenta posizioni e proposte in grado di scatenare potenziali conflitti fratricidi, mentre l’economia è diventata la nota dolente, il fattore che, invece di mettere assieme i Paesi membri li sta pesantemente dividendo.La storia è nota. Per dare un’accelerazione al processo d’integrazione europea sull’onda lunga del percorso post-bellico nasce l’idea della moneta unica come primo passo verso l’unione politica. Nei dibattiti di allora sui costi e benefici dell’euro prevale l’ottimismo. Se è vero che i Paesi della futura moneta unica non paiono avere le caratteristiche richieste dalla teoria delle aree valutarie ottimali, potranno ottimisticamente realizzarle anche grazie ai movimenti di persone e a una progressiva omogeneizzazione dei sistemi economici nazionali. Gli stress test (anche allora in voga) della letteratura economica in materia sottolineavano che la futura unione monetaria avrebbe potuto funzionare in presenza di choc simmetrici e non asimmetrici (ovvero tali da incidere su tutti i Paesi nello stesso modo e non in modo diverso). Sappiamo come poi è andata. Un gigantesco choc che ha condizionato la storia europea degli ultimi dieci anni (la crisi finanziaria globale) ha avuto effetti pesantemente asimmetrici in termini di reazione dei mercati (lo spread tra Italia e Germania, per esempio), non ultimo per colpa di politiche macroeconomiche non certo armonizzate e solidali.Nel pieno dell’ultima crisi, il 4 ottobre del 2014, un manifesto firmato da più di 300 colleghi economisti e pubblicato su "Avvenire" trasmise un messaggio molto crudo e una proposta altrettanto netta: l’Eurozona è in mezzo al guado e vicina alla disintegrazione della moneta unica, se non si passa rapidamente sull’altra sponda di una maggiore integrazione politica e macroeconomica. Passi decisivi indicati furono il quantitative easing (l’acquisto di titoli del debito pubblico degli Stati membri da parte della Banca centrale europea), l’abbattimento del differenziale di costo del debito tra Sud e Nord dell’Eurozona, politiche fiscali fortemente espansive come quelle degli Usa all’indomani della crisi finanziaria globale e un processo di armonizzazione fiscale. Quest’ultimo per impedire ai Paesi membri di farsi la guerra tra loro, erodendo base fiscale e risorse per il welfare e stravolgendo le statistiche del Pil intra Ue. Quello che è successo poi è storia dei nostri giorni. A due anni di distanza, quel programma è stato realizzato solo in parte. Il quantitative easing partì poco dopo e con l’esso l’abbattimento del costo del debito, non sul passato ma sulle emissioni future. Il qe è stata però l’unica gamba di una reazione zoppa dove l’intervento fiscale non è stato della dimensione sperata e di armonizzazione fiscale nemmeno si parla (e così continueremo con "miracoli" lussemburghesi, olandesi o irlandesi a spese degli altri Paesi...).Mentre i tre grandi d’Europa, si incontravano a Ventotene,è arrivato il monito del nobel Stiglitz a lungo eurocritico, ma sempre dell’idea che il costo della distruzione dell’euro sarebbe stato superiore a quello del suo mantenimento. Stiglitz ha detto proprio in questi giorni che non la pensa più così e che la soluzione migliore a questo punto è forse quella di una divisione concordata in due aree valutarie (euro del Nord ed euro del Sud). In economia come nella guida stradale non esiste la "coerenza" intesa come assenza di cambiamento di strategia di guida. Il terreno e le situazioni cambiano e bisogna modificare le proprie scelte utilizzando quelle più adatte alla situazione. Se si verificherà che non c’è la volontà di fare passi decisivi nell’integrazione e nel coordinamento delle politiche macroeconomiche per correggere gli squilibri interni di bilancia commerciale e di completare il programma indicato nel manifesto sarebbe opportuno che i tre leader riflettano seriamente sul monito del nobel Stiglitz, dando seguito già nel  prossimo consiglio europeo di Bratislava di settembre. Il processo d’integrazione europea proseguirebbe in forma nuova disinnescando questa rigidità nella risposta a choc asimmetrici alla quale non si sono al momento opposti veramente efficaci meccanismi di assorbimento degli choc alternativi.