Opinioni

La vera prevenzione. Spendere per la vita

Antonio Maria Mira mercoledì 20 novembre 2013
Eccezionale evento meteorologico». È la frase più ripetuta per descrivere il ciclone che ha colpito la Sardegna. I numeri parlano chiaro: in 12 ore è piovuto quanto solitamente piove in sei mesi sull’isola. Eccezionale davvero. Così come le “bombe d’acqua” che hanno colpito in questi ultimi anni le Cinque Terre, la Lunigiana, Genova, la Maremma, Ginosa nel Tarantino e Giampilieri nel Messinese. Eccezionali, ma ormai sempre più frequenti. E allora non ci possiamo più consolare con questo “eccezionale”. Non può e non deve bastare. Cambia il clima, cambiano le precipitazioni, non cambia purtroppo il modo di affrontare questi fenomeni. Manca preparazione, manca prevenzione. È una questione di fondi, e non solo. È una questione di priorità, soprattutto. Quante volte su queste pagine abbiamo ripetuto che la prima “grande opera” italiana dev’essere la messa in sicurezza del territorio, sia per i rischi idrogeologici che per quelli sismici.L’Italia è Paese “ballerino” e “franoso”, ancor di più quando gli eventi diventano “eccezionali”. Invece ogni evento sembra trovarci impreparati. Non la Protezione civile che, malgrado stagioni poco felici, è ancora capace di indicare linee, strategie, anche di lanciare, come nel caso sardo, precisi bollettini. Ma chi l’ascolta? Chi, a livello locale, si prende la briga, anche a costo dell’impopolarità, di sfollare famiglie, di impedire davvero che circolino le auto, di chiudere strade e ponti? I morti sono figli in primo luogo di queste “prudenze”: 18 in Sardegna, quasi quattromila in cinquanta anni, dalla “madre di tutte le tragedie idrogeologiche”, il Vajont, 9 ottobre 1963. No, questa prudenza, questa sottovalutazione, questo timore di disturbare, sono il primo killer delle vittime di frane e alluvioni. E così anche la gente non si abitua, non è pronta, non sa convivere con un rischio reale e concreto. Non lo faceva prima quando le piogge erano più o meno “normali”, non lo fa oggi che sono diventate “eccezionali”. Serve dunque un vero cambio di passo culturale. Necessario anche per capire davvero che spendere per prevenire vuole dire spendere per la vita. Spendere e non spiccioli, non col contagocce. Da anni le cifre sono note: per mettere davvero in sicurezza il Paese dal rischio idrogeologico servirebbe 40 miliardi. Troppi? No. Visto che nel frattempo ne abbiamo spesi 52 per riparare i danni. E i morti, ovviamente, non hanno prezzo... Spendere bene, certo, evitando grandi o piccole cattedrali nel deserto, ma non avendo paura di fare. Qualche opera potrà restare “inutilizzata” per qualche anno, ma prima o poi, se davvero necessaria, potrà salvare vite umane. Fare, dunque, spendere bene e non poco. Sembrano davvero un’offesa ai morti in Sardegna quei 30 milioni previsti per la difesa del suolo nel Patto di stabilità. Sì, 30 milioni, poco più dei 20, primo stanziamento del governo per l’emergenza sarda. Eppure la commissione Ambiente della Camera, all’unanimità, aveva approvato una risoluzione, primo firmatario il presidente Ermete Realacci, che impegnava il governo a stanziare 500 milioni annui. Neanche questi pienamente sufficienti, ma almeno utili per cominciare e salvare tante vite. E poi basta inerzie. Troppi fondi restano inutilizzati per inefficienze delle regioni e degli enti locali, ma soprattutto per la “gabbia” del Patto di stabilità. Si muore perché non si può spendere a dovere. E allora il premier Enrico Letta, così giustamente solerte ieri sia nel far dichiarare lo stato di emergenza sia nel volare in Sardegna, prenda una valigetta, la riempia dei piani già elaborati da Regioni e Comuni ma bloccati da tempo, e voli a Bruxelles per dire con chiarezza che l’Italia intende sforare quel Patto: per tutelare il territorio e tanti italiani. Spendere per la vita: ne ha parlato anche lui ieri. Diciamolo chiaro ai partner Ue: siamo pronti a farci controllare carte e conti, progetti e bilanci, appalti e imprese, ma vogliamo e dobbiamo agire perché quelle opere le vogliamo e le dobbiamo fare. Con la massima trasparenza e con saggia fretta. E poi finalmente facciamole. Questo, sì, sarebbe un risultato “eccezionale”.