Opinioni

Alla prova dei fatti. Un minimo comun denominatore?

Leonardo Becchetti mercoledì 7 marzo 2018

Dopo una lunga campagna elettorale «contro» e dopo i verdetti del voto del 4 marzo è arrivata per tutti i partiti l’ora della responsabilità. Essi possono anche vivere (o sopravvivere) tra alchimie e tattiche, noi cittadini italiani no. Non possiamo aspettare cinque anni per prenderci una qualche "rivincita", abbiamo bisogno di una guida salda e saggia del nostro Paese in una stagione decisiva come quella che ci aspetta.

L’ideale sarebbe un timoniere e una squadra di governo con un mix di esperienza, competenze e innovazione. La realtà dice che bisognerà accontentarsi di quanto sarà possibile estrarre dal Parlamento senza maggioranza omogenea delineato dagli elettori. Ci vorrà senz’altro tempo per metabolizzare la nuova condizione, come d’altronde è accaduto in Germania dove soltanto dopo cinque mesi il Partito socialdemocratico ha ratificato con una consultazione online degli iscritti l’adesione a una nuova Grosse Koalition guidata dalla cristiano democratica Angela Merkel. Ora anche il nostro Paese è davanti a un simile bivio e sia gli eletti sia gli elettori sanno che la risposta non può essere quella di tornare subito al voto, perché la democrazia non è azzardo e le urne elettorali non sono slot machine dove tentare la fortuna giocando più volte.

Per di più, se si riuscisse a uscire dalla logica del conflitto permanente, ci si potrebbe accorgere che, al di là delle contrapposizioni propagandistiche e più o meno ideologiche (assecondate anche da forzature mediatiche) che sono state utilizzate da (quasi) tutti per differenziare al massimo il proprio "prodotto" e fare più audience in campagna elettorale, le differenze su alcuni punti fondamentali non sono così enormi ed è possibile individuare con assoluta trasparenza un minimo comun denominatore programmatico su argomenti di potenziale e sano interesse convergente.

Il partito di maggioranza relativa, il Movimento 5 Stelle ha già annunciato, e lo ha fatto sia prima sia dopo il voto, di voler stendere una piattaforma programmatica per confrontarsi su tali contenuti con le altre forze politiche. Ed è proprio ai contenuti che è giusto appassionarsi: un approccio che vale sempre, ma un po’ di più in un Parlamento "abitato" da tre minoranze di diversa grandezza, ma tutte indubitabilmente minoranze. Entriamo, allora, nel merito.

In economia c’è un minimo comun denominatore facilmente raggiungibile su alcuni punti: gestione del rapporto debito/Pil, identificando spesa pubblica utile alla vita di famiglie e imprese (a nostro avviso – come più volte ripetuto – tre capisaldi sono iper-ammortamenti, bonus ristrutturazioni edilizie, voucher universale per i servizi a famiglia e persona), spingendo con più coraggio sulla revisione della spesa stessa e rinforzando la rete di protezione universale per chi si trova sotto la soglia di povertà. Proprio su quest’ultimo punto le differenze tra Cinquestelle, Pd e centrodestra sono più che altro di facciata o sulla quantità di risorse da investire e molto meno sullo stile dell’intervento, che secondo un po’ tutti deve puntare al reinserimento sociale e nel mondo del lavoro di ogni beneficiario che faccia ancora parte della popolazione attiva.

Quanto al rapporto con l’Europa, le lingue sembrano e sono diverse su molti temi e questioni cruciali, ma tutte le forze politiche italiane concordano almeno sull’esigenza di andare oltre il Fiscal Compact, pur non perdendo l’obiettivo di ridurre gradualmente il rapporto debito/Pil.
Sul fronte della sostenibilità ambientale, si può convergere ragionevolmente verso una spinta molto più forte in direzione di una fiscalità di favore per le energie rinnovabili, mentre sul fronte dell’istruzione è assai condiviso l’obiettivo di rinforzare il rapporto tra scuola e mondo del lavoro migliorando il progetto dell’alternanza e rinsaldando la filiera della formazione professionale.

Sul fronte immigrazione, al di là delle contrapposizioni verbali, è probabile che non si devierà dall’approccio Minniti. E questo perché la 'bolla mediatica' sulla «invasione» è stata impressionante e non c’è stato verso di far comprendere a un gran numero di italiani l’importanza di accogliere con intelligenza e regole chiare richiedenti asilo e migranti, e non solo per motivi valoriali, ma anche economici. Al di là degli strenui proclami di facciata, potrebbe però essere possibile concordare ragionevolmente sul ritorno a un sistema di 'quote' di migranti ben governate e necessarie per tenere insieme il sistema produttivo e previdenziale del Paese.

È l’ora della responsabilità, e, almeno un po’, della generosità. L’ora di lavorare su ciò che unisce e non su ciò che divide. Esiste una piattaforma accettabile piuttosto ampia e ci sono persino le condizioni per battere sul tempo i tedeschi e dar vita in poche settimane a un 'governo utile' all’Italia e agli italiani. Forse sogniamo a occhi aperti un Paese e una politica che non esistono. Ma vale la pena di provare a farlo.