Opinioni

Il punto da cui ripartire, con pulizia. E adesso al lavoro

Antonio Maria Mira mercoledì 10 aprile 2013
​E adesso al lavoro. Per il lavoro e per la salute. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha respinto il ricorso dei magistrati di Taranto contro il decreto "salva Ilva", non ci sono più alibi od ostacoli per trovare e, soprattutto, realizzare quanto necessario per tutelare due valori fondamentali, garantiti proprio dalla nostra Costituzione, il lavoro e la salute, che non possono e non devono essere contrapposti. Negli anni 70 e 80 dello scorso secolo vinse spesso quello che gli ambientalisti bollavano come «ricatto occupazionale». E gli esempi più duri portano i nomi di Marghera o di Casale Monferrato, capaci di evocare morte, malattie, terribili danni ambientali. Terra violentata con l’alibi del lavoro. Poi, negli ultimi anni, la difesa dell’ambiente ha avuto più sostenitori e più ascolto. Tra "sindrome di nimby" (non nel mio cortile), proteste di piazza e interventi della magistratura. E stavolta anche con danni gravissimi per occupazione, l’ammodernamento delle infrastrutture, la costante lievitazione dei costi.Ma deve essere sempre così? Deve essere sempre "la salute o l’ambiente"? La decisione della Consulta sembra indicare, con una saggezza che troppe volte è mancata, la strada del "e la salute e l’ambiente". Non a caso il presidente del Consiglio Mario Monti, illustrando quattro mesi fa il decreto, definì l’intervento «salva ambiente, salute e lavoro». I taleban dell’ambientalismo lo bocciarono subito. La Procura tarantina respinse la linea del governo, presentando ben due ricorsi alla Corte Costituzionale. Sullo sfondo la sfiducia che questi importanti valori possano essere difesi "insieme". Certo i sospetti, i dubbi sono in parte legittimi. Troppi ritardi, troppe assenze, troppe distrazioni, troppi "sporchi" affari (e non solo per ambiente e salute) hanno caratterizzato la storia dell’Ilva. E chi ha sbagliato, inquinato, attentato alla salute dei cittadini di Taranto è giusto che paghi. Dunque la magistratura vada avanti, col giusto rigore – e questo, dice la Consulta, non è messo in discussione dal decreto. Ma vadano avanti anche risanamento e lavoro, strettamente legati. Tocca all’Ilva, grazie anche agli strumenti offerti dal testo normativo la cui costituzionalità ieri è stata sancita. Perché è possibile farlo, come dimostrano tanti esempi di industria rispettosa dell’ambiente. Per garantire all’Ilva e a chi ci lavora un futuro pulito e prospero. «Prima che gli effetti siano irreversibili», come disse il presidente Giorgio Napolitano, molto attento a ogni fase della vicenda. Effetti irreversibili per ambiente e salute, irreversibili per la salvezza di un’impresa che significa reddito per migliaia di famiglie, per un’intera città e per una grossa fetta della nostra economia.La politica – su questo fronte troppe volte assente, o peggio – governi finalmente cambiamento e futuro. Perché è proprio a chi fa politica che tocca il difficile, ma indispensabile, compito della mediazione che non rinuncia ai capisaldi. Soprattutto quando in campo ci sono valori così importanti. Soprattutto in un tempo nel quale vanno molto di moda i "no" distruttivi. Ne siano capaci i nostri politici, con intelligente concordia, senza tentennamenti, senza favoritismi al "potente" di turno. E l’azienda, senza resistenze, metta in campo tutto il necessario per ridurre al massimo l’impatto ambientale delle proprie pesanti attività. Lo deve fare anche per sanare ferite ancora aperte. La magistratura sorvegli, con attenzione. E senza invasioni di campo. Anche qui sono in ballo princìpi fondamentali della nostra Costituzione, come i rapporti tra diversi poteri dello Stato. Rispetto reciproco, ognuno nel proprio ambito.La Consulta, ancora una volta, ha dovuto richiamare tutto questo. Il punto è messo. Davvero, ora, ci si metta al lavoro.