Opinioni

La dolorosa e inquietante vicenda di un malato belga. Quell’addio allo stadio solo uno spot all’eutanasia

Nicoletta Martinelli sabato 7 marzo 2015
Era «incredibilmente felice» – la definizione è sua – Lorenzo Schoonbaert quando, domenica pomeriggio, la sua squadra ha vinto la partita, finita 3 a 0 per il Bruges contro il Moeskroen. Per assistere al match, Lorre – come lo chiamano gli amici – ha rimandato la morte. Una cosa che riesce a pochi, solo a coloro che il momento della propria fine lo hanno dolorosamente scelto. Desiderato. Programmando non solo il quando ma anche il come. Con chi. Con un investimento emotivo difficile da immaginare, il signor Schoonbaert – 41 anni, vent’anni di malattia, 37 operazioni chirurgiche alle spalle e una prognosi comunque infausta – ha deciso di spostare la morte più in là: qualche giorno ancora del suo inferno in terra pur di sedere un’ultima volta negli spalti del Jan Breydel Stadium. Lì il Bruges gioca in casa e la squadra, di cui Schoonbaert è da sempre scalmanato supporter, ha organizzato la festa d’addio. I cori da stadio, gli striscioni e la tifoseria erano tutti per Lorre: mentre dalle curve e dalle tribune sventolavano le bandiere, lui stesso è diventato bandiera, sventolato a sostegno dell’eutanasia. Un “eroe” della morte a comando, che in Belgio può essere data dallo Stato a chiunque, persino ai bimbi. Accompagnato dalle urla degli spettatori – decine di migliaia – Schoonbaert ha fischiato l’inizio della partita e poi si è seduto in tribuna con moglie e figlia per godersi il match. E la vittoria del Bruges. «Adesso posso morire felice – ha detto dopo il fischio finale –, il mio sogno si è realizzato». Aveva le lacrime agli occhi e la figlia per mano: nei filmati che circolano in rete – virali, com’era prevedibile – la bambina bionda con i nastrini azzurri nelle treccine si perde dentro una maglietta enorme, rossa, il numero sette sulla schiena. Non sorride, non partecipa dell’allegria generale. Lorre sostiene che quella giornata «sarà un tesoro nella memoria di mia figlia che potrà ricordare per tutta la vita». Ricorderà che il suo papà ha rimandato la morte per veder vincere il Bruges? Un’ottima scelta. La dimostrazione che basta poco – persino una partita di calcio – per vivere un giorno ancora. Domenica vado allo stadio, lunedì accompagno mia figlia a scuola, martedì compero i fiori a mia moglie, mercoledì invito a cena il mio amico del cuore, giovedì... Qualcosa verrà. Sufficiente una partita? Entusiasmante, allora, raccontare favole della buona notte, aiutare nei compiti, accarezzare, suscitare un sorriso, incoraggiare a vivere piuttosto che essere un esempio nel morire. Malgrado la sofferenza fisica e psichica che affronta chi sa che la fine è vicina, il decadimento e la depressione, sapere che – per quanto profonde – sono state patite senza perdere un istante del tempo insieme, questo sì che sarebbe un tesoro per qualsiasi figlio, moglie, marito, amico... Schoonbaert ha prenotato un posto in clinica, è stato sollecitamente assistito, ha distribuito inviti per il suo ultimo respiro. Una morte pensabile, immaginabile. Quindi possibile, praticabile. Si è dimostrato coraggioso fino alla fine, avendo tutto sotto controllo e ha saputo apprezzare anche gli ultimi istanti con chi era accanto al suo cuore», ha annunciato la moglie su Facebook, confermando che Lorenzo non c’è più. Ma gli ultimi istanti non avrebbero dovuto essere quelli. La passione per il calcio ha dato a quest’uomo qualche giorno ancora. Domenica prossima ci sarà un’altra partita e se in Belgio succede come in Italia tra anticipi e posticipi di partite puoi averne una tutti i giorni. Poteva essere... Ma come si fa a tornare indietro con un intero stadio che osanna la tua fine? Un uomo ha conquistato la morte, i sostenitori dell’eutanasia un altro caso da manuale. A noi resta una vicenda su cui riflettere. E, per fortuna, una certezza: come diceva Lucio Dalla, «la morte è solo l’inizio del secondo tempo».