Opinioni

Il direttore risponde. A occhi aperti, oltre l’«arrangiatevi»

martedì 5 aprile 2011
Gentile direttore, mentre leggo l’appello «Ero straniero e mi avete accolto», pubblicato il 31 marzo a firma di 38 lettori (alcuni dei quali conosco personalmente), ascolto le ultime prese di posizione dei governatori delle Regioni che, dopo aver speso parole di generosa solidarietà per le persone sbarcate a Lampedusa, all’atto pratico ritirano ogni disponibilità ad accoglierle e dicono: arrangiatevi. E allora ribatto, ai 38 firmatari del 'politicamente corretto', che dispensare aulici principi è esercizio sbrigativo per mondarsi la coscienza; scomodare Abramo poi, fa pure chic.La realtà, però, sta altrove, cioè là dove, con parole rozze ed efficaci, Umberto Bossi ha anticipato ciò che gli eventi inequivocabilmente dimostrano. Davanti a un’ondata migratoria dai pochi precedenti, pontificare sulla «linfa che alimenta quanto di meglio l’Italia e l’Europa hanno saputo produrre in termini di diritto e giustizia», o declinare la bellezza «dell’incontro con lo straniero, il diverso, l’altro», mi sembra la posizione di chi, rintanato sulla torre d’avorio, distribuisce giudizi senza curarsi di verità e giustizia. E questo, ritengo, non fa alcun bene alla società.

Stefano Di Battista, Novara

Lei, caro signor Di Battista, è vigoroso, realista, pertinente e caustico nelle valutazioni. Ma avere gli occhi bene aperti sul 'caso migrazioni' non vuol dire rinunciare a pensare e indicare un’alternativa moralmente alta a quella logica dell’«arrangiatevi» che nella sua lettera viene così amaramente evocata.Tenere gli occhi bene aperti vuol dire anche impegnarsi per capire ciò che significa e che comporta l’epocale rivolgimento in corso in Nord Africa (e in tutto il mondo arabo) e cominciare, con intelligenza e umanità, a fare i conti con le emergenze che ne conseguono, che sono già serie, ma non ancora immense (i 20-22mila migranti via via arrivati a Lampedusa, sono assai di meno per esempio delle centinaia di migliaia piombati sulla Tunisia dalla Libia in fiamme). Naturalmente, e a questo mi sembra che lei miri, urgono anche soluzioni umanitarie immediate e concrete, come quelle che la Cei e la Caritas italiana hanno offerto per contribuire alla civile e necessaria risposta del nostro Paese a una pressante domanda di comprensione e di accoglienza di migliaia di persone. È la premessa necessaria per riconoscere e aiutare tutti coloro che fuggono da situazioni e sofferenze che tristemente li qualificano come profughi ed è, in linea con la grande cultura cristiana del nostro Paese, l’antidoto all’instaurarsi di una logica della repulsione o, comunque, della preconcetta e ostile diffidenza verso i migranti (considerati, ancora una volta, come rischiosa 'categoria' e non come persone). Un’ultima cosa, caro amico lettore: ha del tutto ragione a ricordarci che su questo fronte nessuna turris eburnea e nessun semplicismo sono oggi concepibili, ma quando si parla di condizioni nomadi, di speranza e di elementi fondativi di civiltà e di fede è quasi inevitabile, per noi credenti, «scomodare Abramo» . E comunque mai potrà diventare un tic chic...