Opinioni

Campioni. A Napoli una gioia attesa per 33 anni ora la città si merita un’altra festa

Maurizio Patriciello sabato 6 maggio 2023

Sono felice. Sono felice di vedervi felici. Le vostre grida, il vostro entusiasmo, la vostra allegria mi hanno coinvolto e continuano a coinvolgermi in modo incredibile. Vi ho visto trepidare nei giorni scorsi. Vi vedo, adesso, esultare, e mi commuovo. Vedo la mia città dipinta di azzurro, e mi commuovo. Sento, come voi, un brivido che scivola lungo la schiena, lo lascio fare, non tento di impedirgli il passo. Anche se cerco di capire. La ragione, come sempre, vuole la sua parte. Pretende di scendere in campo anch’essa. Chiede. Si fa severa. Non accetta di essere messa in un cantuccio. La ragione mi sbatte con le spalle al muro: « Perché cantano a squarciagola i bambini insieme ai genitori e ai nonni? Perché quella persona anziana rischia di morire d’infarto, e quei ragazzi scapestrati di finire con lo scooter in un dirupo?».

Ho tentato di tenerla a bada, di distrarla. Invano. Ho fatto finta di non sentire la sua voce. Invano. Quella non demorde e pianta i suoi occhi grandi come il sole nei miei. Senza ironia, però, senza cattiveria, senza alcun sarcasmo, ma con benevola tolleranza. Con simpatia, come a voler capire. Mi arrendo. La verità? La verità è che non è successo niente. O, almeno, niente che giustifichi una reazione tanto massiccia in milioni di persone, di ogni età, di ogni ceto, in tante parti del mondo. Una squadra di calcio ha giocato meglio delle altre. Un pallone è entrato più volte in una rete anziché nell’altra.

I calciatori hanno le loro buone ragioni per fare salti di gioia, guadagnano milioni, i miei concittadini, invece, niente. Non sempre, poi, tutto è limpido. Nel mondo del calcio, come in ogni realtà umana, ci possono essere interessi e imbrogli, invidie e cattiverie. Ma la mia gente ha atteso 33 anni per vivere l’emozione di questo giorno. Per non spegnere un sogno. Un tempo lunghissimo. Eppure non si è arresa. Non si è lasciata abbattere dalla delusione che, anno dopo anno, andava infiacchendo le sue forze. Un travaglio lunghissimo, una vera agonia, eppure ha saputo tenere in vita la speranza.

Ecco la prima, importante, lezione che mi viene da questo popolo variopinto e ingenuo. Poi. La festa dice gratuità, libertà, bisogno di aggregazione. Necessità di condivisione. Una festa in solitudine non è festa. Niente di più triste e deludente di un banchetto apparecchiato ma senza gli invitati. La festa dice, senza tanti giri di parole, che l’uomo – ogni uomo – ha bisogno urgente degli altri. Di qualcuno da portare in trionfo e al quale poter dire “ grazie”. Una maglietta indossata da Osimhen, una scarpa calzata da Zielinski, una foto con Olivera farebbero impazzire di gioia i piccoli e gli adulti. Per nessun motivo al mondo sarebbero disposti a cedere i loro trofei. Non dovremmo noi – credenti e non credenti – essere riconoscenti a questo popolo “irrazionale” che ci invita a ritornare bambini, ma anche a saper guardare oltre? A non rassegnarci mai?

A saper gioire anche per le piccole cose? Non vi richiama alla mente, questo bisogno di un oggetto appartenuto al proprio eroe l’antico e sempre nuovo culto delle reliquie dei santi? E i cortei, nati spontaneamente, come un bisogno del cuore, non somigliano forse alle processioni che si snodano da secoli dietro la statua di un santo? Credo che meglio di qualsiasi discorso algidamente razionale, i miei concittadini stanno gridando al mondo che la persona umana non basta a sé stessa. Che il primo atto della ragione è convincersi – umilmente – che ci sono cose che la ragione non potrà mai comprendere, ma non per questo sono meno vere. L’uomo necessita di razionalità e di amore, di tenerezza e di cordialità. Di accoglienza e generosità. Questo, e tant’altro, io leggo nella festa di queste ore. Perciò dal mio animo sgorga un sentito grazie. Grazie alla città che amo. Grazie alla mia gente, alla sua spontaneità, ai suoi valori. Chi vuole bene al Napoli, oggi, però, deve volere bene a Napoli. Sempre. E fare di tutto per liberarla dai suoi tanti nemici. In particolare dall’asfissiante e mortificante stretta della camorra che, anche in questa occasione, ha voluto sporcare di sangue le sue belle strade in festa.