Opinioni

Il direttore risponde. 45 anni: se col lavoro svanisce anche la speranza

venerdì 12 febbraio 2010
Caro direttore,negli ultimi giorni un ingegnere e un operaio si sono tolti la vita perché erano rimasti senza lavoro. Dunque di disoccupazione si muore. Vorrei aggiungere che se non si muore fisicamente, muore comunque lo spirito del disoccupato e quello di chi gli sta intorno. Perché mesi e mesi trascorsi aspettando che un lavoro salti fuori, un lavoro qualsiasi, anche non in linea con le competenze acquisite, ma che comunque ridoni speranza e dignità: mesi così angosciosi piegano chiunque. Parlo per esperienza personale, perché ho un figlio in queste condizioni. Laureato, inglese e francese ottimi, esperienza amministrativo-commerciale in Italia, Europa e Africa, disponibile alle trasferte, ecc. È rientrato dall’estero in piena crisi e ancora non vede via d’uscita, pur vivendo in Lombardia. Ha occupato anche posti di responsabilità, ma ben volentieri farebbe da spalla o accetterebbe un posto defilato, perché è un padre di famiglia, figli da mantenere e rate di mutuo scadute – con la banca che scalpita, anche se finora ha mostrato comprensione –. Come non bastasse ha «ben» 45 anni. Dunque sovente viene considerato vecchio. E che dovrebbero dire gli altri miei figli, intorno ai 40 e ancora precari? Il mondo del lavoro mi sembra popolato di pazzi. Per aiutare nostro figlio noi genitori abbiamo dato fondo ai nostri scarsi risparmi e ora, non potendo vendermi il classico rene, trattandosi di «merce avariata», perché ho avuto un cancro, non mi resta che offrire la mia carcassa per terapie sperimentali a qualche casa farmaceutica o istituto di ricerca, così da ricavarne qualcosa. Vorrà dire che aggiungerò qualche altro effetto collaterale a quelli che mi ha lasciato la chemio, ma almeno potrò aiutarlo a tirare avanti ancora un poco e poi forse Dio, pur di non sentirmi più supplicare, ci aiuterà.

Una mamma angosciata

Lavoro ed economia non possono essere ridotti alle cifre in nero o in rosso di un bilancio aziendale. Sono anche e soprattutto carne e sangue, vita faticosamente costruita, aspirazioni e progetti, relazioni e affetti. Anche smarrimento e senso lacerante di sconfitta. Certo, un’azienda può fallire; un posto di lavoro può venire meno, una comunità civile non può però lasciar sprofondare nella disperazione, senza alcun appiglio, chi con correttezza, decoro e impegno ne è membro. I problemi della crisi si accentuano, con un perverso effetto-leva, per le famiglie monoreddito. La sua denuncia, carissima signora, ne è drammatica testimonianza, alla quale il pudore e il rispetto impediscono di aggiungere parole. Mi sento di dire solo questo: è imperativo che la politica sappia ridare speranza a persone come lei; è imperativo che chi ha potere agisca per riconoscere e garantire ciò che è giusto a ogni famiglia. a cominciare dalle famiglie come la sua.