Opinioni

Dietro i 42 arresti per droga a Napoli. Una voce nel deserto: abbiamo fame di lavoro

Maurizio Patriciello sabato 5 febbraio 2011
Fa tanto freddo questa sera. Il vento punge e i lampioni sono spenti. Da mesi. Le strade sono vuote. C’è silenzio al "Parco Verde". Un silenzio fastidioso. Pesante. Irreale. Ieri mattina le Fiamme gialle hanno fatto una "retata", arrestando decine di persone. Tra esse tante donne, molte mamme.È sempre la stessa scena. Per mesi nel quartiere periferico non si vede nemmeno l’ombra di un vigile urbano e ognuno può fare quello che vuole. Poi, all’improvviso, scatta il blitz. Arrivano poliziotti, finanzieri, carabinieri. Bloccano le strade e fanno irruzione nelle case. Sotto gli occhi dei bambini che assistono impotenti. Impotenza che presto si trasforma in odio. Non erano stinchi di santi gli arrestati, lo sanno tutti. Vivevano nell’illegalità, nel sottobosco della malavita. Tranne qualche "capo" erano tutti piccole pedine. Spaccio, taglio, detenzione di droga. Manovalanza spicciola, insomma. Preziosa e a poco prezzo. Coloro che rischiano di più e guadagnano di meno.Sono colpevoli, certamente. Vanno contro la legge e debbono pagare. Il nostro plauso va tutto alle forze dell’ordine. Su questo non ci piove. Eppure la chiesa stasera somiglia a un cimitero. I credenti hanno gli occhi lucidi. Le suore – le care suore spagnole – sono esterrefatte, incredule. Tutti conosciamo la maggior parte degli arrestati. I loro bambini frequentano il catechismo, il doposcuola o l’oratorio. Stanno con noi la domenica alla Messa delle dieci.Droga, 42 arresti, ripetono i giornali. Per noi le cose non stanno in questo modo. Per noi è stata arrestata la mamma di Emmanuele e il papà di Fabio e Dina. Sapevamo certamente che nella loro vita c’era qualcosa che non andava per il verso giusto. Anzi, i primi a saperlo erano proprio loro. Ne avevamo discusso insieme tante volte. Loro abbassavano lo sguardo. Per la vergogna. Tante volte erano venute a chiedere aiuto. A chiedere una mano per trovare un lavoro. Il lavoro, ecco. Un lavoro per poter comprare le scarpe ai figli e mandarli a scuola. Un lavoro per uscire dall’inferno. Un lavoro per non morire. Il parroco, che non ha saputo aiutarle, le congedava con mille raccomandazioni: «Non vi scoraggiate. Tenete duro. Non vi arrendete. Vedrete che i tempi cambieranno. Non cedete alla tentazione di chiedere prestiti ad usura. E soprattutto non lasciatevi ingannare dalle sirene maledette del facile guadagno…». Eccetera.Dopo l’ennesima visita alla parrocchia queste donne scomparivano. Non si vedevano più. Intanto continuavano a campare. Ora, come faccia una famiglia a reddito zero a tirare avanti per mesi e mesi lo si può facilmente immaginare. Sono cose che sanno tutti. Tutti coloro che hanno in odio la menzogna e l’ipocrisia. Lo sanno il prete, il sindaco e il comandante della stazione dei carabinieri. Lo sanno i nostri parlamentari, i ministri e lo stesso presidente del Consiglio. Non fu un caso se i Padri costituenti vollero la nostra Repubblica fondata sul lavoro. Sapevano bene, quelle persone intelligenti e sagge, che chi non lavora prima o poi è destinato a delinquere.Non è difesa a oltranza la mia. È solamente la voce della Chiesa presente tra i poveri nella persona dei suoi ministri. Una voce che, pur sapendo di gridare nel deserto, deve caparbiamente continuare a farlo. Se smettesse, griderebbero le pietre. Diamo una possibilità alla vita. Prima di vederla deturpata. Prima che gli avvoltoi se ne appropriano. Diamo una possibilità ai poveri perché riacquistino la dignità di essere umani. Non riduciamoci a catturarli come malfattori e rinchiuderli in carceri strapiene e malsicure, mettiamoli in condizioni di guadagnarsi il pane con il sudore della loro stessa fronte.E prima di giudicare persone arrestate, per noi senza nome né volto, preghiamo con il salmista: «Poni, Signore, una custodia alla mia bocca…».